venerdì 27 agosto 2010

BEPPE CIVATI - «L'antiberlusconismo non porta lontano» - di Alessandro Braga

Giuseppe Civati è consigliere regionale del Pd in Lombardia. Trentacinque anni. Alle ultime primarie appoggiò Ignazio Marino.



Tre giorni fa la lettera al paese di Veltroni sul Corriere. Ieri Bersani su Repubblica. Siamo alla politica epistolare?Non vorrei che questa mania «alla Jacopo Ortis» sia il segnale di un centrosinistra che si scrive perché non si sa parlare. Mentre i nostri si mettono davanti a carta, penna e calamaio altri, come la Lega, occupano le prime pagine dei giornali con le loro iniziative fatte di razzismo e populismo. Dovremmo essere noi a riempire i giornali perché siamo tornati ad essere un partito vivo, con una chiara identità e iniziative importanti per il paese. Senza diventare sostenitore dell'uno e dell'altro, mi sembra che la lettera di Veltroni abbia uno sfondo politico culturale più profondo, mentre quella di Bersani è più politichese, per addetti ai lavori.



Ma nella sostanza, che giudizio dai alla proposta Bersani?Mi pare che Bersani si dica disponibile a costituire un governo tecnico e, in caso di elezioni anticipate, un vasto schieramento democratico per fermare Berlusconi. Parla di nuovo Ulivo e di addio all'Unione ma non si capisce quale sia il vecchio Ulivo, quale il nuovo. Mi pare che si sia fermi all'antiberlusconismo, accusa che proprio Bersani aveva fatto ai suoi avversari interni. Un'alleanza con chi dice no a Berlusconi presuppone l'assunzione del concetto che la sua presenza sia definitiva nel panorama politico. Cosa che abbiamo già fatto in passato ma che non porta buoni frutti. Invece...



Invece?Dovremmo dire quale Italia vogliamo e poi portare avanti quell'idea con chi ci sta.



Che Italia vuole il Pd di Civati?Intanto dobbiamo indicare come rimettere in pista il paese. Generare aspettative di rinnovamento. Rilanciare la nostra idea su questioni fondamentali.



Quali?Dobbiamo proporre un vero programma economico, in questo momento di crisi. E avere il coraggio di dire chi deve pagare il conto. La finanziaria di Tremonti sta colpendo i ceti medio-bassi. Noi dovremmo dire qualcosa sulle transazioni finanziarie e i grandi patrimoni, ad esempio. E poi dire come vogliamo investire i tanti o pochi soldi che abbiamo. Puntando ad aiutare i giovani con una vera politica sulla casa, combattendo il precariato che al massimo può essere una fase per l'inserimento nel mondo del lavoro, ma la prospettiva deve essere di avere un lavoro come lo hanno avuto i nostri genitori. Altrimenti quando saremo noi i genitori come faremo? E poi punterei sui diritti civili.



Con chi?Con chi ci sta. Darei per scontato in un progetto del genere l'appoggio di Vendola e Di Pietro. Ma dobbiamo essere capaci di dialogare anche con altri. Però attenzione, va bene allearsi anche con il diavolo per sconfiggere Berlusconi, ma bisogna ottenere risultati, altrimenti è inutile.



Anche utilizzando «forme più articolate di convergenza», come dice Bersani? Cosa vuol dire, una riedizione della desistenza?Non è chiaro: si parla di un accordo con chi ci sta. Ma non credo sia una nuova desistenza, più che altro la vedo come un accordo su alcuni punti di fondo.



Sulla legge elettorale si potrebbe trovare questo accordo?Sì, ma non aspetterei le elezioni. Portiamo una proposta in parlamento ora, troviamo un accordo anche con Fini e Casini e chiediamo di votare la nostra proposta. Alla camera si potrebbe mettere sotto il governo in questo modo.



Ma quale proposta? Che tipo di legge elettorale?Una legge che ridia dignità al parlamento. Se non si trova nulla di meglio potrebbe andare bene anche il Mattarellum. E poi il centrosinistra deve puntare sulle primarie, riavvicinarsi alla gente.



Il porta a porta di Bersani?Quella è una buona idea. Bersani dice che è arrivato il tempo di suonare le nostre campane. Io mi accontento dei campanelli.