mercoledì 8 settembre 2010

Per un nuovo modello di sviluppo:una proposta per le tlc - di Luigi Agostini e Alessandro Genovesi

“Quando un paese grande ma povero quale era la Russia, si trovò a dover affrontare la sfida per entrare tra le 7-8 potenze del novecento – una sfida produttiva, sociale e ancor prima politica – scelse con lungimiranza di legare il proprio destino alla più amplia opera di infrastrutturazione delle campagne mai vista prima: l’elettrificazione rappresentò la base del successo pluridecennale del comunismo”. Così è iniziata la ormai “storica” lezione tenuta all’università di Bombay nel 2001 da William N. Joy (comunemente conosciuto come Bill Joy), il "Thomas Edison di Internet" , democratico “moderato” scelto come esperto dall’amministrazione Clinton.

“Sulla base di tecnologie moderne ed avanzate – continua Joy, citando integralmente il discorso di Lenin al Soviet di Pietroburgo - l'elettrificazione (...) fornirà un collegamento tra città e campagna, porrà fine alla divisione tra città e campagna, renderà possibile elevare il livello della cultura in campagna e di superare, anche negli angoli più remoti della terra, l'arretratezza, l'ignoranza, la povertà, le malattie e la barbarie. Oggi la costruzione di reti telematiche di nuova generazione (NGN) rappresenta la novella elettrificazione: crea ,politicamente,blocchi di interessi progressisti, attiva innovazione diffusa, valorizza le professionalità scientifiche e organizzative, genera partecipazione “creativa” in grado di contaminare l’intero apparato produttivo aumentandone il valore anche indipendentemente dalle condizioni geografiche, costruisce la base materiale di una nuova dimensione della cittadinanza e dei diritti globali. Un ecosistema pervaso dalle reti NGN è un sistema aperto, interattivo, multidirezionale, che mette in moto mobilità sociale e una più avanzata divisione del lavoro. Chi ne rimarrà fuori sarà costretto ad inseguire per i prossimi decenni”.
Inoltre,nella attuale crisi da sovrapproduzione,permette di impostare il tema del nuovo modello di sviluppo.
Le reti di Telecomunicazione possono rappresentare infatti la base per un grande progetto di riconversione dei nostri sistemi che la crisi attuale ha dimostrato “obsoleti”, aggregando intorno ad un grande progetto di modernizzazione forze economiche e sociali, interessi e intelligenze progressiste oggi disperse e prive di interlocuzione.

Il dibattito in Europa e nei paesi più avanzati negli ultimi anni, del resto, verte proprio sulle capacità dei sistemi-paese (e in primo luogo delle grandi aziende di tlc) di dotarsi di una nuova rete ad alta velocità nel minor tempo possibile, garantendo da un lato concorrenza sui nuovi mercati, dall’altro investimenti ed interventi atti ad accelerare tanto la costituzione dell’offerta (le nuove reti appunto) quanto di una domanda diffusa, facilitando cosi lo sviluppo di un terziario avanzato fatto di contenuti, servizi amministrativi, sociali e per la produzione che integrerà sempre di più funzioni private e pubbliche (PP.AA., telesanità, telemobilità, interventi ambientali, formazione a distanza, e-commerce, ecc.).La riforma e l’efficienza degli apparati pubblici,l’esperienza insegna,la si fa in gran parte per questa via,e non attraverso le ridicole campagne di Brunetta. Le stesse “manovre anticrisi” varate nel 2010 dai governi inglese, francese, tedesco e spagnolo non solo non hanno ridotto gli investimenti nel settore, ma li hanno potenziati proprio come risposta anticiclica alle difficoltà del momento .

Solo in Italia il confronto politico e sindacale sull’aumento o meno delle capacità produttive delle imprese non si sviluppa su questo terreno, ma si incentra quasi esclusivamente sul contributo che può dare il fattore lavoro (da ultimo la stessa vicenda Fiat si può leggere anche con questa lente), quando invece tutti i principali studi dell’OCSE, della Banca Centrale Europea e del FMI ricordano che “le potenzialità dell’innovazione tecnologica, l’aumento di conoscenza diffusa, la stessa velocità e potenza trasmissiva delle nuove reti siano di gran lunga fattori più incidenti ”.

Discutere e decidere sul futuro delle reti di TLC è quindi un tutt’uno con la necessità che avvenga “un’esplosione di innovazione”. E’ una delle principali sfide, anche culturali e politiche, che abbiamo di fronte. E occorre prima di tutto che il tema acquisti nel nostro paese la centralità che merita, affrontando nodi mai veramente sciolti negli ultimi anni. In Italia essi si possono riassumere, fondamentalmente, in quattro questioni, tra loro legate: come costruire,con un determinante intervento pubblico, la NGN italiana in termini remunerativi per chi vi investe; come alimentare una domanda di nuovi servizi che ci “educhi” all’innovazione; come rilanciare una “filiera” dell’ICT per non essere meri consumatori di produzioni straniere; come far uscire Telecom Italia – la principale azienda del settore e l’unica dotata di un infrastruttura propria – dallo stallo in cui è.

Senza dare una soluzione contestuale a queste questioni, il rischio è che continui l’attuale fase di paralisi del settore delle TLC e dell’ICT e che le diverse proposte in campo (sia di Telecom da un lato, sia degli altri operatori dall’altro) si riducano a mere tattiche di contenimento e di “sbarramento” degli uni verso gli altri,di una vera e propria neutralizzazione reciproca. (al riguardo si veda anche l’ultima Relazione Annuale dell’Autorità per le Comunicazioni - AGCOM).

Occorre decidere non se, ma come, rispondere a queste domande:
1) Quali risorse , quali investimenti per creare la rete di nuova generazione (evoluzione naturale dell’attuale rete in rame e da integrare fortemente con le reti mobili di ultima generazione), in un momento di scarsità delle risorse pubbliche (quelle poche stanziate sono state già riassorbite in altri capitoli di spesa), di difficoltà della più grande azienda privata (Telecom Italia) e dei suoi principali concorrenti? All’interno di quale quadro regolatorio tenere insieme un determinante sostegno pubblico, remunerazione degli investimenti, trasparenza e concorrenza, valorizzando le risorse di tutti? La direzione politica nazionale deve prendere atto che oggi le aziende delle TLC e dell’ICT in Italia non sono in grado di sviluppare da sole quella massa di investimenti necessari a dotare il paese di una delle infrastrutture strategiche per il futuro e non può lasciare alla pur lodevole iniziative degli enti locali una partita così importante. Inoltre le attuali rete in rame stanno giungendo ad un livello prossimo alla saturazione.
2) Quale percorso possibile si può mettere in campo già nei prossimi mesi per generare una iniziale domanda diffusa per la NGN, che ci educhi anche all’innovazione, a nuovi paradigmi e modi di fare e di essere cittadini, produttori e consumatori?
3) Come si può (e si deve) tenere insieme un piano per la NGN, la costituzione di una domanda iniziale diffusa e il rilancio di un’industria italiana dell’ICT, oggi sempre più schiacciata da economie di scala ridotte e un mercato dell’innovazione asfittico?
4) Come superare l’empasse debitorio e proprietario in Telecom Italia, che da tempo condanna la principale azienda di TLC a non proporre un piano industriale in grado di rilanciare il mercato?

Ci piaccia o no infatti, con riferimento a questo ultimo punto, a più di un decennio di distanza, dobbiamo dichiarare che la privatizzazione di Telecom Italia, per come si è realizzata, è stata un fallimento. Un’azienda con oltre 120 mila dipendenti, una capacità di investimento superiore a 10 miliardi di euro l’anno, senza debiti e con una forte concentrazione di competenze è oggi un’azienda profondamente in crisi, con meno di 56 mila lavoratori, priva di una strategia in grado di risolvere il problema dell’eccessivo debito e degli attuali assetti proprietari, sparita quasi completamente dai mercati esteri emergenti.

Soprattutto è un’azienda non più capace di essere “il motore dell’innovazione”, che blocca l’intero sistema e ne paralizza le scelte strategiche (e non migliore è il panorama nel resto del settore: le aziende Telco più o meno forti affacciatesi sul mercato italiano negli ultimi anni si sono progressivamente svuotate di professionalità ed il loro finire tutte in mani straniere ci consegna un saldo negativo, per gli interessi del Paese).

Per questo oggi più di ieri il futuro delle TLC è indissolubilmente legato a quello di Telecom Italia. E il futuro di Telecom passa dal risolvere la principale contraddizione che tutti abbiamo di fronte: da un lato la rete Telecom rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese, necessaria per fare la rete di nuova generazione (NGN) con la graduale sostituzione di rame e centrali e per accelerare la migrazione dei clienti sulle nuove tecnologie. Un “bene comune” nell’accezione più ampia. Ma dall’altro siamo tutti ben consapevoli che una valorizzazione dell’attuale rete Telecom, fuori dal perimetro dell’azienda, rischia di impattare con il valore stesso dell’azienda, la sua governance, i suoi fatturati e farebbe venir meno quell’integrazione verticale tra settori (a partire dall’informatica e dai costumer) che - oltre a contraccolpi occupazionali - priverebbe Telecom della possibilità di riposizionarsi su servizi personalizzati, sull’offerta di soluzioni informatiche e ICT convergenti, ecc. Pensare – anche come management di Telecom Italia – di sciogliere questo nodo al di fuori di una più ampia discussione sul futuro delle TLC e dell’ICT nel Paese è quindi impossibile.


COSTRUIRE L’OFFERTA: UN PIANO PER LA NGN ITALIANA

Partiamo, allora, da quello che – piaccia o no – non si può fare (per motivi industriali, tecnologici, economici, politici e sociali). Non si può espropriare Telecom della sua rete. Non si può concepire la rete di nuova generazione come esclusivamente subordinata all’evolversi del mercato televisivo, in quanto la rete è volano di più settori, più integrazioni, più convergenze (non si può cioè pensare al futuro della rete Telecom come risposta “truccata” alla sfida Mediaset-Rai-SKY o come mero strumento subordinato alle dinamiche del mercato pubblicitario on line). Non si può pensare alla NGN come una rete esclusivamente tutta in fibra. Non si può realmente credere che l’eventuale nuova società costituita da Vodafone, Fastweb, Wind e Tiscali senza finanziamenti pubblici e senza un’integrazione con Telecom Italia, si possa cimentare in una competizione sull’infrastruttura oltre alcune e specifiche aree metropolitane a forte valore di mercato.

Quindi passiamo a quello che non possiamo permetterci che accada. Non si può accettare il calo degli investimenti e dei ricavi in un settore strategico, motore principale dell’economia della conoscenza. Non si può accettare la paralisi del settore che sta trascinando in un baratro la già non eccelsa realtà dell’informatica italiana (o meglio di quello che vi rimane). Non possiamo perdere tempo prezioso rispetto ai paesi concorrenti dell’Italia che già sono avanti nella costruzione della NGN e che divengono sempre più competitivi e attrattivi di investimenti (soprattutto quando la crisi internazionale sarà finita).Il tempo sta’ scadendo,se non scaduto. Occorre un vero e proprio “Patto per il futuro del Paese”, un “Patto per l’ICT” che coinvolga tutti, ognuno per le proprie responsabilità e poteri. Il Paese deve darsi una scadenza (un vero e proprio “switch off” per la banda ultra larga): entro il 2015 l’ 80% della popolazione italiana e delle imprese deve essere dotato di banda ultra larga e il restante 20% di banda larga.
E sarebbe assai utile – oltre che giusto – che di questa bandiera si impossessassero le forze del centro sinistra, costruendovi intorno alleanze sociali e di interessi, aprendo la discussione e chiamando a raccolta le tante intelligenze, professionalità, imprese e lavoratori sicuramente interessati ad una forte proposta di innovazione industriale.

Solo una “scelta politica” può infatti creare le condizioni per una “dotazione di risorse pubbliche e private” straordinarie, da agevolare con interventi regolatori e con scelte di priorità chiare.

Il Governo e Agcom, per rendere remunerativi gli investimenti sulle reti di nuova generazione, dovrebbe stabilire il prima possibile un percorso di liberalizzazione graduale delle tariffe all’ingrosso per la connessione alla NGN. O in alternativa riconoscere un chiaro sistema di “risk premium” per gli investimenti, definendo i prezzi minimi regolamentati per l’accesso alle reti di nuova generazione, indipendentemente dalle modalità di realizzazione (se in consorzio, se in competizione infrastrutturale, ecc.). Agcom deve cioè definire presto le tabelle di remunerazione minima di passaggio per tutte le infrastrutture di nuova generazione che vanno dal primo stadio di centrale (dorsale) fino alle centrali periferiche, agli armadietti e alla singola abitazione/azienda (tariffe minime per fiber to building, tariffe minime per fiber to home). Così che tutti possano pianificare gli investimenti e soprattutto, a fronte di una spesa e un rendimento minimo correlato, ricorrere a strumenti finanziari, creditizi e azionari per reperire risorse.
Un vincolo/cofinanziamento pubblico dovrebbe inoltre garantire da subito una “tariffa a prezzo simbolico/franchigia” a tutti i servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, per le reti civiche, per i soggetti del privato sociale (anche al fine di agevolare la costruzione di una domanda diffusa, così come già si va sperimentando con successo in Olanda e Germania). Tale principio di liberalizzazione dovrebbe essere riconosciuto a tutti i soggetti pubblici o privati che siano titolari della nuova rete, a condizione, infine, che si facciano garanti anche proquota di estendere la rete alle aree identificate da AGCOM come aree non di interesse di mercato .
Insomma intervento pubblico diretto (in partecipazione) o indiretto (messa a bando) senza tabù ideologici, liberalizzazione graduale in cambio della riduzione del digital divide, remunerazione degli investimenti privati con prezzi a liberalizzazione graduale (all’inizio più alti) a fronte di uno stimolo generalizzato all’aumento della domanda che faccia diminuire nel tempo le tariffe all’ingrosso. Da subito si potrebbero “scongelare” le risorse già disponibili (800 milioni presso il CIPE, 264 presso Infratel, 188 milioni a disposizioni della aree rurali) e si potrebbero coordinare i piani e le risorse regionali messe in campo (per altri 2 miliardi già stanziati).

Così come vanno stabiliti (in sede governativa e di AGCOM) meccanismi per far contribuire alla manutenzione/implementazioni delle reti i diversi produttori di contenuti/pubblicità che oggi, con l’aumento della domanda (peer to peer, on demand, motori di ricerca, ecc.) stanno portando alla saturazione della rete, senza però contribuire direttamente o indirettamente al suo potenziamento. Se cioè da un lato occorre che le aziende di TLC per reperire risorse devono assolutamente differenziare offerte e tecnologie, dall’altro occorre definire modalità di compartecipazione alla manutenzione/implementazione delle reti da parte di coloro che godono (trasferendo spesso valore all’estero) della connettività, non escludendo in una prima fase (con attenzione e con ponderazione, differenziando tra servizi di lusso, servizi a consumo generalizzato, servizi di utilità sociale) prezzi che permettano la condivisione del rischio tra investitori e utilizzatori.

Ovviamente la NGN non dovrà per forza essere completamente in fibra in tutte le sue parti ne inizialmente in tutti i territori: la nuova rete sarà inevitabilmente integrata da un potenziamento delle capacità trasmissive delle reti mobili grazie all’utilizzo di maggiore ampiezza di banda e agli apparati di ultima generazione. La NGN sarà nei fatti una rete basata sulla convergenza di più reti trasmissive (del resto l’omogeneizzazione del protocollo IP segna già questa incontrovertibile direzione di marcia) anche perché sempre più l’utilizzo della banda ad alta velocità – a detta dei principali esperti – sarà every where e con utenti nomadi.


AGGREGARE LA DOMANDA: UNO SFORZO COLLETTIVO

Ma l’eventuale offerta di per sé non basta. Il “Patto per l’innovazione del Paese”, va declinato anche dal lato della domanda. Oggi essa è insufficiente per le capacità della NGN e la costante, ma lenta, diffusione della tv on demand non basta. Occorre sviluppare una strategia di aggregazione generalizzata della possibile “domanda”: pubbliche amministrazioni, enti locali, sistemi sanitari, bancari, ecc. devono essere coordinati da una regia pubblica per l’aggregazione delle possibili domande, al fine di rendere profittevoli già nel breve periodo gli investimenti degli operatori ICT. Serve anche qui una vera e propria “cabina di regia”, un “Comitato nazionale per lo sviluppo della domanda di nuovi servizi” che coordini in maniera efficiente quanto già esiste (o è in programma, a partire da quanto annunciato dal Ministero per la Funzione Pubblica e l’Innovazione e dal Ministero per le Attività produttive) e dia un impulso deciso a chi “è in ritardo” .
Uno switch off parallelo, se vogliamo semplificare, che già di per sé rappresenterebbe una rivoluzione culturale per il paese. Tale “Comitato” dovrebbe assorbire e sfoltire la miriade di gruppi di lavoro, comitatini, tavoli ministeriali, facendosi carico anche di coordinare tutte le azioni oggi disperse (pubbliche e private) a sostegno di: maggior penetrazione dei PC nelle famiglie italiane; alfabetizzazione informatica; diffusione della moneta elettronica come ordinaria modalità di pagamento di beni e servizi.

Infine accanto alle autostrade vanno pensate le “automobili made in Italy”. La scomposizione prima e la crisi poi delle grandi aziende informatiche (Olivetti, Bull, Getronics – oggi Agile/Eutelia - Accenture, Ibm) hanno portato alla crisi di un comparto strategico, fondamentale per integrare le strategie di convergenza e sviluppo delle aziende industriali e di tlc. Per troppo tempo si è assimilata una visione delle imprese di ICT esclusivamente finalizzata alla erogazione e alla “manutenzione” di prodotti informatici, VAS e terminali esteri, facendo venire meno una strategia generale del sistema paese che - solo dalla costruzione di Poli tecnologici, informatici e di tlc - può ricominciare a perseguire una propria politica industriale per l’innovazione degli apparati produttivi. Occorre approfittare allora della riorganizzazione del settore per un grande progetto di politica industriale che tenga insieme tutta la ICT, avendo come interlocuzione l’intero mondo delle imprese: un grande piano per l’ICT italiano, in grado di valorizzare le professionalità presenti nelle diverse aziende oggi in crisi, rilanciando così anche una più generale politica per la ricerca applicata alle nuove soluzioni tecnologiche e organizzative. Non è una strategia diversa da quella per le TLC e la NGN, ma il suo naturale complemento, ritagliata sulle esigenze e specificità dei nostri sistemi sociali ed economici. Serve una proposta industriale per tutta la filiera: anche perché, altrimenti, la prospettiva anche occupazionale dell’attuale settore delle TLC sarà quella di un trascinamento verso il “basso”, più verso i call center che non verso la parte avanzata della ricerca e dello sviluppo IT. Senza un’industria dell’innovazione forte che accompagni la creazione delle reti di nuova generazione, che le renda “multi applicabile” per utilizzare un linguaggio caro agli informatici, rischiamo infatti il fallimento di ogni possibile modernizzazione dell’apparato produttivo, creando una “NGN” vuota o dove altri producono ciò che dovrà passare.

IL NODO TELECOM ITALIA
Infine va affrontato il nodo “Telecom”: la recente vertenza iniziata con oltre sette mila licenziamenti annunciati e poi conclusasi positivamente i primi giorni di Agosto con un’intesa tra azienda, sindacati e Governo (e molto rimane da fare nella “gestione concreta” dell’accordo) ha indicato una possibile direzione di marcia con uno dei più grandi progetti di riconversione professionale di figure tecniche e operaie (saranno almeno 4000 mila i lavoratori coinvolti) verso i nuovi servizi e le nuove tecnologie di comunicazione e di “digitalizzazione” degli ambienti umani (casa e impresa). Ma è stata, per quanto avanzata, una risposta difensiva, finalizzata a salvaguardare occupazione e possibilità di sviluppo. Quel che è mancato e manca è una risposta industriale e finanziaria (cioè un progetto a medio termine) che metta in sicurezza l’azienda, così da dare il suo fondamentale e necessario contributo al “Patto per il futuro dell’ICT”. La principale azienda del Paese (per numero di lavoratori, per professionalità possedute, per investimenti fatti e programmati) deve poter uscire dallo stallo in cui è e tornare ad essere “la lepre da inseguire”.

Occorre affrontare il tema del debito e di una ricapitalizzazione dell’azienda. Occorre sciogliere il nodo di Telefonica. In relazione alla situazione debitoria di Telecom, l’unica strada, facilitata anche dalla proposta di remunerazione delle nuove reti, non può che essere o una ricapitalizzazione da parte degli attuali soci o l’emissione di uno specifico bond a garanzia pluriennale (10-15 miliardi) tale da mettere l’azienda nelle condizioni, per i prossimi anni, di raddoppiare gli investimenti sul mercato domestico ed internazionale. Bond aperto a tutti i soggetti pubblici e privati che sarebbero garantiti oltre che dai notevoli flussi di cassa e dai beni patrimoniali anche dai ritorni dei nuovi investimenti sulla NGN. Lo stesso Bond potrebbe essere coperto pro-quota per quella parte destinata specificatamente alla costruzione della rete di nuova generazione.
Se lasciata libera di operare nel medio termine su aree a forte remunerazione, con patti chiari di medio periodo, diviene infatti meno importante e delicata la discussione sul ruolo di Telefonica o di un altro grande operatore straniero dalla forte vocazione industriale: quello che infatti dovrebbe contare per il sistema Paese (e per i lavoratori di Telecom) è evitare che una paralisi permanente dell’azienda la porti ad essere – prima che poi – una facile preda per chi non ha interesse ad investire in Italia.


In conclusione, il progetto tlc può qualificare una sinistra politica e sociale moderna, e rappresentare la bandiera di un nuovo modello di sviluppo. Per parafrasare lo stesso Lenin citato da Bill Joy, se il socialismo era simbolizzato, all’inizi del secolo scorso,dalla parola d’ordine di “soviet ed elettrificazione”, oggi un moderno socialismo non potrebbe essere definito meglio che dalla parola d’ordine “autogoverno e reti telematiche .”Per tutti.


Roma 4 settembre 2010

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