martedì 29 giugno 2010

Politica e cultura: quali speranze? Mario Tronti e il vescovo di Orvieto-Todi Giovanni Scanavino a dialogo

Un filosofo “marxista” e un vescovo. Più precisamente, uno dei più originali pensatori “radicali” italiani - capace di tenere assieme il barbuto di Treviri e Carl Schmitt, Lenin e Max Weber, i gesuiti spagnoli e Machiavelli – e un frate, presule nella diocesi di Orvieto-TODI, votato ad Agostino di Tagaste, il santo africano ritenuto uno dei massimi pensatori del mondo occidentale.
Stiamo parlando di Mario Tronti e di padre Giovanni Scanavino, messi l’uno accanto all’altro, dalle ore 21.00 di giovedì 1 luglio, alla Festa Democratica di Orvieto.
La riflessione su “Politica e cultura: quali speranze”, coordinata da Giuseppe Della Fina, vuole anzitutto essere un invito a liberare il pensiero dagli ingombranti imballaggi che impediscono l’esercizio della trascendenza, quella virtù specificatamente umana che interpone tra uomo e mondo una differenza, uno stacco dentro cui abita lo spirito, la cultura, l’arte, la politica. Al centro del dialogo, la riflessione del filosofo sugli esiti terminali di una modernità che non contempla il controtempo della trascendenza.
“L’homo religiosus – afferma Tronti sorprendendo qualche nostalgico mangiapreti - ha una potenzialità di alternativa, e di antagonismo, rispetto alla struttura fondante di questo mondo, che l’homo democraticus non ha e non può avere, perché è stato costruito affinché non l’avesse”. I primi cristiani, precisa l’autore di “Operai e Capitale”, riuscirono a mantenere una radicale alterità rispetto al mondo pur senza diventare estranei al mondo. Vinsero perché durarono. E durano perché, come si dice nel Vangelo di Giovanni, erano “nel” mondo ma non “del” mondo.
Tronti vede nella riduzione del mondo a pura immanenza il trionfo dello spirito borghese illuminato. Quello stesso spirito, che ancor oggi governa il processo della modernizzazione, vieta il conflitto, l’audacia della trasformazione radicale e istruisce il pensiero politico delle società postindustriali. Il mondo è pieno, non ammette crepe o alterità radicali. “Il massimo ammissibile del conflitto – afferma il filosofo - è la provvisoria personalizzazione di quel qualcuno, nella parte del’cattivo’”. Dentro la categoria del conflitto Tronti rilegge la vicenda della classe operaia novecentesca. “Gli operai dentro il capitale - scrive - sono stati l’ultimo anello, quello giunto a più alta coscienza, della lunga catena degli oppressi. Ai lavoratori di oggi bisogna riconsegnare questa coscienza, di essere un ulteriore anello della catena”.
L’annientamento del conflitto, dell’irriducibile alterità non segna solo la fine della classe operaia ma anche della politica. “Più la politica si assimila al mondo - sottolinea Tronti -, a ciò che è così com’è, più diventa superflua”. Bisogna allora guardare alla religione, a quel rapporto con l’Invisibile che rende la persona “indisponibile, inassimilabile, incatturabile per una coscienza dominante di mondo che ti dice: è tutto qui, non c’è altro, quello che conta è quello che vedi, devi sistemarti, o devi partecipare, che è la stessa cosa”. In quell’indisponibilità si scorgono i bagliori dell’atto di libertà, dell’autodeterminazione anche collettiva.
È quindi un errore – sostiene il professore senese – declinare la laicità in chiave antireligiosa. “La laicità di cui abbiamo bisogno – prosegue - è più una interpretazione del sacro che un’assunzione del secolo. Su questo possiamo trovare un vero reciproco ascolto con altre sensibilità alternative. Credetemi, c’è più varietà di posizioni e libertà di pensiero in quella ‘complexio oppositorum’ che è la Chiesa cattolica, di quanto ne potete trovare nel pensiero unico del Fondo monetario internazionale. Non sbagliamo bersaglio. Il nemico, il nemico non l’avversario, è questo, non quella. Più in generale, sulla denuncia dei mali del mondo e sul destino dell’essere umano, tra la dimensione del politico e la dimensione del religioso coltiverei oggi più la possibilità di un incontro strategico che l’occasione di un conflitto quotidiano”.
Dopo l’estinguersi di innumerevoli terze vie, sarà forse la resistenza al secolo della Chiesa ad offrire alla sinistra un modello di politica all’altezza dei tempi?

Nessun commento: