domenica 25 ottobre 2009

Welfare, l'Italia è un paese bloccato : 1° rapporto sulla mobilità sociale realizzato da Italia Futura.

Dal 1° rapporto sulla mobilità sociale realizzato da Italia Futura emerge che povertà e disuguaglianze sono in aumento. La situazione è critica soprattutto per le nuove generazioni. E' infatti molto alto il numero dei bambini che crescono in famiglie con gravi difficoltà economiche e la percentuale dei ragazzi provenienti dai ceti inferiori che riescono a laurearsi è tra le più basse d'Europa: il 10%, contro il 35% della Francia ed il 40% della Gran Bretagna


Verso la fine degli anni Cinquanta meno della metà della popolazione italiana aveva accesso ad una televisione, per le strade circolava una macchina ogni trentasei abitanti, e più della metà degli italiani faceva l'operaio. Trent'anni dopo l'Italia aveva un prodotto interno lordo tra i più alti del mondo occidentale, superando anche l'Inghilterra; televisioni, telefoni e automobili abbondavano ormai in tutte le famiglie e molti dei figli degli operai degli anni Cinquanta erano diventati impiegati di buon livello, medici, avvocati, commercialisti.

Questi risultati sono stati possibili grazie ad un periodo di grande dinamismo e mobilità della nostra società. Una mobilità che ha consentito non solo a milioni di italiani di raggiungere condizioni di benessere individuale, ma a tutto il paese di crescere e svilupparsi, di conquistarsi un posto tra i grandi del mondo e di acquistare fiducia in se stesso. Perché è questo il grande potere della mobilità sociale: non solo il recupero di efficienza economica legato ad una distribuzione di opportunità più ampia e paritaria, ma il recupero dell'ottimismo e della voglia di guardare avanti.
Una società mobile alimenta la fiducia nel domani, dà il senso della possibilità, e motiva gli individui ad investire in tutto quello che aiuta a crescere: lo studio, il lavoro, il sacrificio, la collaborazione. In poche parole: stimola ad investire nella costruzione del futuro.

Ma è ancora così? Da alcuni anni ormai l'Italia sembra aver perso quello slancio che per decenni ne ha sostenuto la crescita. Si è diffusa nella società la sensazione di un paese che in qualche modo si è fermato, che non è più in grado di dare ai propri cittadini quelle opportunità di crescita e realizzazione a cui aspirano. Una sensazione che demoralizza e demotiva soprattutto le generazioni più giovani, ma alla quale non si è ancora riusciti a dare una delle risposte. È mancata una riflessione sistematica, che definisse in modo chiaro i contorni del fenomeno, ne cogliesse l'importanza e provasse ad unire le varie forze politiche per identificare delle soluzioni efficaci, fuori dalla logica della propaganda e delle ideologie.

È questo l'obiettivo del primo Rapporto sulla mobilità sociale. Avviare una riflessione approfondita sul tema della mobilità sociale in Italia fornendo dati, analisi, confronti internazionali assieme ad alcune proposte concrete. Una riflessione aperta, non meramente accademica, che possa contribuire ad alimentare un dibattito partecipato, diffuso e, sperabilmente, fruttuoso.


In alegato: Rapporto: L'Italia è un paese bloccato. Muoviamoci!

Due estratti del Rapporto:

Povertà e disuguaglianze
Povertà e disuguaglianze nella distribuzione dei redditi sono elementi molto importanti della mobilità sociale.
Innanzitutto perché vivere in condizioni di privazione economica limita l'accesso ad opportunità non solo materiali ma anche culturali e sociali, che rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo e la realizzazione del pieno potenziale di un individuo. Inoltre la diffusione di povertà e disuguaglianze aumenta a dismisura la percezione di una società iniqua e sempre più difficile da "scalare", demotivando e marginalizzando molte energie.
L'Italia non è certo un paese povero. Tuttavia negli ultimi anni ha visto un sostanziale declino del reddito procapite rispetto agli altri paesi, e ha visto aumentare notevolmente le disuguaglianze, tanto che oggi è uno dei paesi con maggiore disparità nella distribuzione dei redditi non solo in Europa, ma in tutta la comunità dei paesi Ocse.
Per dare una misura più concreta e tangibile di cosa ciò significhi, basta pensare che in Italia il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% del reddito totale nazionale, mentre il 20% delle famiglie più povere percepisce redditi pari solo all'8% del reddito totale.
Ma i problemi dell'Italia su questo fronte non si esauriscono qui. In Italia la povertà ha tratti distintivi che la rendono particolarmente insidiosa. Mentre in molti paesi la povertà colpisce soprattutto anziani e disoccupati, in Italia colpisce in modo particolare le famiglie con figli, anche quelle in cui vi sia almeno un componente che lavora. Il 76% della povertà infantile italiana riguarda bambini in famiglie con un genitore occupato (contro una media Ocse del 47%). La situazione delle famiglie italiane appare particolarmente penalizzata, soprattutto quelle con figli piccoli.
Come mostra un'approfondita ricerca sulla povertà in Italia condotta dall'Istat, la presenza di figli all'interno della famiglia si associa a un disagio economico superiore alla media. L'incidenza di povertà infatti risulta pari al 14% tra le coppie con due figli e al 22,8% tra quelle con almeno tre, percentuali che salgono rispettivamente al 15,5% e al 27,1% se i figli sono minori , contro una media nazionale dell'11%. Un dato allarmante anche confrontato con gli altri paesi europei: il tasso medio di povertà per le famiglie con figli è del 7% in Francia, 9% in Inghilterra, per non parlare dei paesi del nord Europa, dove oscilla tra il 2% della Danimarca e il 4% di Svezia, Norvegia e Finlandia.
Questo è uno dei motivi alla base del triste primato negativo detenuto dall'Italia: uno dei tassi di povertà infantile più alti d'Europa.
Secondo i dati dell'Ocse, che misura la povertà come un reddito inferiore al 60% del reddito mediano, l'Italia annovera uno dei tassi di povertà infantile più elevati: il 16%.
Secondo i dati Eurostat, che adotta una soglia di povertà leggeremente più elevata (intesa come reddito inferiore al 50% del reddito mediano), in Italia il 25% dei bambini vive in famiglie povere: il tasso più alto tra i paesi europei.
Il 25%, una cifra altissima. Questo significa che due milioni e mezzo di bambini italiani vivono in condizioni di privazione materiale e, molto spesso, sociale e culturale. Bambini che si porteranno dietro uno svantaggio di cui non sono responsabili. Non a caso i test scolastici dell'Ocse condotti sui quindicenni mostrano che il 67% dei ragazzi italiani che conseguono cattivi risultati nei test provengono da famiglie di basso status sociale. E sono sempre i figli delle famiglie più povere e meno istruite che hanno la minore probabilità di andare all'università e laurearsi, in Italia più che altrove. L'80% dei laureati ha almeno un genitore laureato. E tali probabilità non sono migliorate nel tempo, anzi, per i figli di diplomati la probabilità di laurearsi è più bassa oggi di quanto non fosse una generazione fa.
Le difficoltà economiche descritte colpiscono soprattutto le famiglie giovani, quelle in cui i genitori sono agli inizi delle loro carriere - carriere che in Italia sono sempre più faticose e lente -, e in cui i bimbi sono piccoli, con tutta una serie di spese e vincoli collegati con la cura dell'infanzia nel nostro paese.
Le condizioni attuali di queste giovani famiglie e dei loro figli rappresenta un'ombra sulla nostra crescita e competitività futura. Anche perchè, come vedremo tra poco, la mobilità dei redditi tra generazioni in Italia è molto bassa: ovvero i figli dei poveri tendono a restare poveri e i figli dei ricchi a rimanere ricchi.

Conclusioni
In questo Rapporto si è cercato di adottare un approccio che cogliesse le varie dimensioni della mobilità sociale: dalla povertà alle disuguaglianze, alla mobilità dei redditi e così via. Le proposte elaborate sono partite dai risultati di queste analisi, focalizzandosi su alcune priorità. Restano comunque altri temi collegati agli aspetti affrontati sin qui di cui è necessario tenere conto per impostare un dibattito sulla mobilità sociale completo e per immaginare politiche efficaci e di lungo periodo.

Scuola
Sia l'analisi che le proposte avanzate nel Rapporto hanno messo molto in evidenza la necessità di incentivare i giovani a intraprendere e completare percorsi di studio e formazione e sostenerli in queste scelte, nella convinzione che istruzione e formazione siano strumenti fondamentali per costruire migliori opportunità sia per loro che per tutto il paese. Tuttavia, quella della scuola e dell'istruzione è una medaglia a due facce. E se da un lato è importante fare in modo che i ragazzi abbiano l'opportunità e l'incentivo a studiare, dall'altro lato è fondamentale assicurarci che la scuola a cui hanno accesso sia una scuola funzionante e autorevole. La qualità dell'insegnamento, i saperi e i processi di apprendimento a cui i ragazzi sono esposti, sono elementi cruciali per il loro futuro e la competitività del paese. Sono la molla più potente della mobilità sociale. Non è un caso se paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, che stanno cercando di rimettere in moto una mobilità che si era andata perdendo negli ultimi anni, stanno investendo molto non solo nei ragazzi, ma anche nella riqualificazione degli insegnanti e della scuola. È importante quindi non dimenticare che per rimettere in moto il paese sono necessari interventi anche in quest'ambito.

Immigrazione
Da sempre i paesi che hanno saputo accogliere e valorizzare il contributo di lavoro, idee e passione di persone provenienti da tutto il mondo sono quelli più in grado di coltivare un'elevata mobilità sociale. Sono paesi capaci di proiettare nelle loro società e altrove il senso della possibilità, dell'opportunità per tutti, generando così in ogni cittadino una forte motivazione a fare del proprio meglio. Al contrario, l'incapacità di integrare e valorizzare le energie di chi arriva da fuori ha effetti devastanti sia sulla crescita economica di un paese che sul suo sviluppo sociale. Per questo affrontare il tema dell'immigrazione in modo positivo e lungimirante è fondamentale per il futuro del paese. Perché è solo coltivando questo dinamismo economico e sociale che un paese diventa attrattivo, ottimista e capace di generare entusiasmo. Per esempio, il dinamismo e la capacità attrattiva della Spagna degli ultimi anni sono legati anche alla facilità con cui migliaia di giovani provenienti da tutta Europa hanno potuto trasferirsivi e accedere alle stesse agevolazioni ed opportunità dei giovani nati in Spagna. In Italia vi sono agevolazioni che non possono applicarsi neppure fuori dalla regione in cui si è nati. Con questa mentalità provinciale si condanna l'Italia all'implosione, alla morte per asfissia. Una nazione deve valutare le persone per quello che possono e vogliono fare in e per il paese, non per dove sono nate. Così si crea un grande paese, amato e rispettato da tutte le persone che ci vivono.

Specificità territoriali
L'analisi condotta in questo Rapporto non è entrata nel dettaglio della distribuzione territoriale dei fenomeni descritti. Certamente, alcuni aspetti tra quelli affrontati hanno una forte connotazione geografica come, per esempio, il tasso di povertà infantile e il tasso di inattività delle donne con figli piccoli, assai più pronunciati al sud che al nord. Si tratta di aspetti importanti di cui è opportuno tenere in considerazione nell'elaborazione di alcune politiche specifiche. Tuttavia, pensare che il tema della mobilità sociale e delle opportunità sia un tema che riguarda solo il sud sarebbe un gravissimo errore. Le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, per esempio, sono evidenti anche in molte regioni del centro-nord. Il Lazio, per esempio, ha un indice di disuglianza nella distribuzione dei redditi superiore a quello, già altissimo, della Sicilia o della Calabria. Similmente, la dispersione scolastica è elevata in certe zone del nord come al sud, così come la difficoltà ad accedere ad alcune opportunità di realizzazione professionale, i ritardi dei giovani nel rendersi autonomi, e altri segnali rintracciabili tanto al nord quanto al sud. Andando a guardare la ripartizione geografica dei risultati del sondaggio sulla mobilità sociale citato nella prima parte di questo Rapporto, si nota che non vi sono sostanziali divergenze tra i giovani del nord e quelli del sud. Insomma, la sensazione di vivere in un paese bloccato è una triste realtà che accomuna i giovani di tutta Italia. Questi dati non fanno che confermare che la mobilità sociale è e deve essere una priorità per il nostro paese.

Continuità, coordinamento e controllo
L'elaborazione di nuove politiche per la mobilità sociale dovrà necessariamente accompagnarsi ad una riflessione non solo su proposte e risorse ma anche su alcuni aspetti chiave finora mancanti: continuità, coordinamento e controllo. L'analisi degli interventi realizzati in Italia in materia di politiche sociali, per l'infanzia e per i giovani ha mostrato un quadro sconcertante su questi fronti.
Manca innanzitutto continuità: nelle iniziative, nei criteri sui quali sono impostate, e nei finanziamenti. Criteri di allocazione che cambiano nel tempo generando sovrapposizioni e inefficienze (come per gli assegni familiari, di cui pare che oggi beneficino migliaia di famiglie che non hanno nemmeno figli minori), piani biennali che divengono decennali (come il Piano Nazionale per l'Infanzia, biennale, scomparso dal 2002), fondi nazionali istituiti e poi scomparsi, accorpati, o distribuiti solo ad alcuni enti (come il Fondo Nazionale per l'Infanzia, decimato rispetto agli obiettivi iniziali e distribuito solo a tredici città italiane). È difficile pensare di intervenire in modo efficace sui problemi più critici del paese con questa discontinuità di strumenti, di risorse, di criteri. Ma quel che più colpisce è la mancanza di un coordinamento vero ed efficace sulle priorità e sulle modalità di intervento nelle varie regioni, nonché operazioni sistematiche di monitoraggio e controllo sul raggiungimento degli obiettivi e di determinati standard di prestazione su tutto il territorio nazionale. Monitoraggi che negli altri paesi avvengono ormai con regolarità e in modo rigoroso, con raccolta, elaborazione e pubblicazione di dati e risultati, con l'obiettivo non di glorificare le azioni intraprese, ma di valutarne l'efficacia e correggerne le debolezze. In Italia tutto questo non esiste se non in modo frammentario e inefficiente. Alcune regioni conducono monitoraggi dettagliati e sistematici, altre sono buchi neri in cui non si riesce a trovar traccia di come o dove vengono investite le risorse. Questo comporta disparità e divari che non sono accettabili in uno stato civile. Peraltro un'efficace opera di coordinamento e controllo sarebbe fondamentale non solo per limitare e punire gli abusi ma anche per poter riconoscere e premiare le eccellenze locali che pure esistono in molte parti d'Italia e diffonderle nel resto del paese.
Non sono obiettivi impossibili. Si tratta di problemi risolvibili se solo si affrontassero con tempestività alcuni nodi fondamentali. Molte difficoltà di coordinamento e monitoraggio non sono dovute a cattiva volontà degli operatori, ma derivano spesso da questioni "tecniche" lasciate irrisolte. Per quanto riguarda i temi affrontati in questo rapporto un nodo rilevante è legato alla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, con la quale molti aspetti delle politiche sociali sono divenuti di competenza esclusiva delle Regioni. Questo cambiamento sembra aver bloccato la capacità di iniziativa, coordinamento e controllo da parte dello Stato centrale. Ma si tratta di un'impasse che potrebbe essere risolta stabilendo in modo più chiaro le competenze e le responsabilità ai vari livelli, cosa che manca. Per esempio, da anni si attende una definizione dettagliata dei cosidetti "livelli essenziali delle prestazioni sociali". Una definizione che non è mai avvenuta, lasciando un alone di ambiguità che alimenta ritardi e pratiche di scaricabarile. Occorre fare attenzione che il decentramento non diventi una scusa per abbandonare molte comunità a se stesse e deresponsabilizzare un'intera classe dirigenziale. Nessuna modifica delle forme di amministrazione pubblica può esimere lo Stato dallo svolgere quel ruolo di coordinamento e controllo che garantisca l'accesso di tutti i cittadini a servizi di qualità e pari opportunità di sviluppo.

Da: www.italiafutura.it

Nessun commento: