sabato 12 settembre 2009

Trappolino per Bottini: "C'è il territorio nel nostro futuro di umbri e di democratici".



C'è il territorio nel nostro futuro di umbri e di democratici. Ha quindi ragione Lamberto Bottini, candidato alla Segreteria regionale del Pd, a definirlo "laboratorio di un nuovo sviluppo" regionale. Là dentro, infatti, trovano collocazione i vettori della crescita del Paese: natura, storia e conoscenza. Parole che rappresentano bene l'identità dell'Umbria e la sua distintiva via alla modernità. È sul territorio che il Pd può esercitare un primato politico e culturale e diventare un partito dei luoghi e, assieme, un partito con una funzione nazionale. Perché è sul territorio che si misurano le capacità di rappresentanza sociale, si formano e si valutano le classi dirigenti. La sfida è impegnativa, perché si tratta di combinare, in maniera intelligente e con piglio strategico, tre ordini di realtà che adoperano logiche proprie: i flussi della globalizzazione, le comunità di vita e di lavoro; gli assetti produttivi. Con l'avvertenza di non risolvere la complessità di questa nuova fase con le sole geometrie istituzionali o i tafferugli in vista delle regionali. C'è bisogno di un partito radicato e organizzato; che riflette sulla funzione di rappresentanza riappropriandosi di quel "principio di realtà" senza il quale la forma-partito degenera nella mera organizzazione del ceto politico. Il Pd era nato con l'ambizione di poter trasformare la lunga deriva del riformismo e rimettere insieme il corpo e l'anima del processo di emancipazione democratica. Ma, ad un certo punto, abbiamo smarrito la bussola, avvitandoci in una prassi inaridita mentre la crisi smantellava il paradigma neoliberista. È mancato qualcosa la cui assenza permane. Ecco: credo che questo qualcosa sia un sapere che viene dall'incarnare il punto di vista del mondo del lavoro, dei ceti produttivi e dei ceti popolari. Un sapere non solo teorico e che ci permette di rispondere ai giovani operai, sostenitori di Bottini e di Bersani, che ci "interrogano" sulle crisi aziendali della regione, sui numeri della precarietà, sulle difficoltà delle piccole imprese e degli artigiani. Ma quando il lavoro perde centralità, il territorio diventa una "scatola nera" ignota alla politica e il partito si balocca con se stesso e si dimentica che la sua missione è là fuori; allora ecco giustificata la triste esistenza di una sorta di organizzazione politica in franchising buona per sostenere la lunga vita di notabili locali o aspiranti tali. Ho aderito alla mozione Bersani perché credo che ci sia un'idea di partito da correggere. Perché i valori dell'uguaglianza, della libertà, del lavoro e del merito non si inscrivono nel "senso comune" di una società migliore con un partito intermittente. La discussione congressuale, quindi, riguarda la linea politica generale e richiede una sterzata oltre la retorica dell'innovazione. Oltre la cosmetica, le tessere e le rese dei conti. Il prossimo congresso dovrà avere un carattere "costituente". Proviamo a introdurre elementi di stabilità dicendo prima "chi siamo" poi "cosa vogliamo fare" per l'Umbria e per l'Italia. Quindi ragioniamo sulle tattiche con la loro necessaria duttilità. Ma non procediamo alla rovescia e non invochiamo la modernizzazione per giustificare un'ipotesi "pastorale" dai contorni un po' troppo sfumati. Al Pd serve di riconquistare il tempo opportuno della riflessione, fuori dall'ansia della prestazione mediatica. Abbiamo perseverato nello "spettacolare" anziché piantare solide radici e definire un'identità politica riconoscibile. Dobbiamo correggere la rotta e mettere il Pd su basi solide per pronunciare un'idea di società attorno a cui raccogliere il cuore e le ragioni di donne e uomini.

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