mercoledì 2 dicembre 2009
Enrico LETTA risponde a Miriam MAFAI
Miriam Mafai aveva posto a Enrico Letta ed ai dirigenti del PD alcune domande.
Oggi sempre su Reppubblica risponde l'esponente democratico.
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Caro Direttore
Miriam Mafai, nel suo editoriale di ieri, mi rivolge una serie di quesiti in merito alla qualità della nostra opposizione a Berlusconi. Provo a offrire alcune risposte.
Questa settimana in Parlamento condurremo la nostra battaglia per far saltare il "processo breve". Perché riteniamo sbagliato il provvedimento e ingiusto il ricatto che vi è alla base, cioè l'immunità per il premier o, in alternativa, lo sfascio ulteriore di una giustizia già in crisi. La linea del Pd l'ha espressa in modo chiaro Bersani domenica: "No a leggi ad personam, sì a riforme di sistema". Mi chiedo dove mai si possano trovare posizioni del PD che autorizzino a scrivere il contrario. Affermare che il premier, come qualunque cittadino, può difendersi nel e dal processo, secondo la legislazione vigente, non lo mette sopra la legge, ma, appunto, al livello di qualsiasi cittadino. Ribadisco: secondo noi, volendosi difendere dal processo, Berlusconi sbaglia. Eppure, questa possibilità gliela concedono i suoi giudici, applicando le regole del legittimo impedimento, oggi previste.
Miriam Mafai critica la mia affermazione secondo cui "mai le forze politiche pur così divise sono state tanto vicine a un'intesa sul merito delle riforme istituzionali". Credo, invece, sia proprio così. Se ripensiamo alle distanze degli ultimi quindici anni sui modelli istituzionali, possiamo dire che la condivisione essenziale della bozza Violante sia una convergenza a portata di mano, a partire dal voto di oggi in Senato sulle mozioni sulle riforme istituzionali. Lo stesso auspicio che formula il presidente Napolitano.
Se queste riforme non si faranno, non dovrà essere responsabilità dell'opposizione, ma della maggioranza. E se, invece, si faranno, sarà una conquista per il Paese e per i cittadini, a prescindere dal colore del governo in carica. Istituzioni più efficienti e meno inutilmente costose sono un vantaggio per tutti.
Un atteggiamento di opposizione e di contemporanea alternativa lo proporremo anche sulle grandi questioni sociali che attanagliano l'Italia. Il dato-record di ieri della disoccupazione (in particolare di quella giovanile, arrivata al 26,9 per cento) è l'ultimo tassello di un mosaico che smonta la tesi del governo su un'Italia che esce meglio degli altri dalla crisi. Purtroppo non è così. I nostri emendamenti in Finanziaria sulle protezioni per i lavoratori e sulle riduzioni fiscali per i redditi medio-bassi e per le piccole imprese saranno la base per le "1000 piazze per l'alternativa", con cui l'11 e il 12 dicembre presenteremo i nostri "no" al governo Berlusconi e i nostri "sì" per l'alternativa.
Costruire l'alternativa vincente: è questa l'ossessione del Pd. E per farlo non basterà riportare al voto tutti gli elettori del centrosinistra. Perché oggi siamo minoranza. Se l'obiettivo è il 51 per cento dobbiamo convincere qualcuno che ha votato o al centro o addirittura dall'altra parte. Senza perdere l'anima e mantenendo la speranza che questo Paese, con un governo di riforme e di progresso, possa uscire dalle drammatiche difficoltà nelle quali si sta dibattendo. Dobbiamo farlo anche per rispondere alla provocazione di Pierluigi Celli, che auspicava su "la Repubblica" del 30 novembre per il proprio figlio un futuro all'estero. Dall'Italia si può non fuggire. In Italia si possono cambiare le cose. Dipende anche dall'alternativa a questo governo che saremo in grado di costruire.
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