domenica 25 ottobre 2009
Pd, Bersani nuovo segretario. Ad Orvieto ha preso il 53 %
Festa al Comitato Elettorale con Rosy Bindi, D'Alema, Letta e Bersani
Le PRIMARIE del PD hanno segnato una straordinaria partecipazione di elettori del centrosinistra. Ancora non ci sono ancora dati definiti ma si dovrebbe arrivare tra i 2,5 e i 3 milioni. Anche ad Orvieto grande partecipazione popolare con 1917 cittadini che si sono recati alle urne.
Bersani esce dalle primarie con una forte investitura che gli permette di avviare i cambiamenti necessari per rimettere in pista il PD. Ad Orvieto le Primarie hanno confermato i dati del congresso. Nonostante il super attivismo, soprattutto postale, ed i tentativi di metterla in rissa Mocio, Liliana Grasso, Marricchi e Meffi escono sonoramente sconfitti.Bersani raccoglie il 55% nel comprensorio ed oltre il 52% ad Orvieto. Castelviscardo, Parrano, Ficulle e Fabro si confermano le roccaforti bersaniane nel territorio mentre ad Orvieto Sferracavallo rimane insieme alle frazioni ed al centro storico il punto di forza di Bersani. Risultato al di sotto delle aspettative a Ciconia mentre a Orvieto Scalo per 7 voti vince Franceschini che però paga la difesa a spada tratta di Purgatorio.
Significativo il risultato della mozione Marino, il migliore in ambito regionale.Il senatore chirurgo raccoglie attorno al 16% sia nella città che nel comprensorio. Con questi risultati ci sono tutte le condizioni per mettersi alle spalle il passato e finalmente avviare il dopo Mocio.
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Welfare, l'Italia è un paese bloccato : 1° rapporto sulla mobilità sociale realizzato da Italia Futura.
Dal 1° rapporto sulla mobilità sociale realizzato da Italia Futura emerge che povertà e disuguaglianze sono in aumento. La situazione è critica soprattutto per le nuove generazioni. E' infatti molto alto il numero dei bambini che crescono in famiglie con gravi difficoltà economiche e la percentuale dei ragazzi provenienti dai ceti inferiori che riescono a laurearsi è tra le più basse d'Europa: il 10%, contro il 35% della Francia ed il 40% della Gran Bretagna
Verso la fine degli anni Cinquanta meno della metà della popolazione italiana aveva accesso ad una televisione, per le strade circolava una macchina ogni trentasei abitanti, e più della metà degli italiani faceva l'operaio. Trent'anni dopo l'Italia aveva un prodotto interno lordo tra i più alti del mondo occidentale, superando anche l'Inghilterra; televisioni, telefoni e automobili abbondavano ormai in tutte le famiglie e molti dei figli degli operai degli anni Cinquanta erano diventati impiegati di buon livello, medici, avvocati, commercialisti.
Questi risultati sono stati possibili grazie ad un periodo di grande dinamismo e mobilità della nostra società. Una mobilità che ha consentito non solo a milioni di italiani di raggiungere condizioni di benessere individuale, ma a tutto il paese di crescere e svilupparsi, di conquistarsi un posto tra i grandi del mondo e di acquistare fiducia in se stesso. Perché è questo il grande potere della mobilità sociale: non solo il recupero di efficienza economica legato ad una distribuzione di opportunità più ampia e paritaria, ma il recupero dell'ottimismo e della voglia di guardare avanti.
Una società mobile alimenta la fiducia nel domani, dà il senso della possibilità, e motiva gli individui ad investire in tutto quello che aiuta a crescere: lo studio, il lavoro, il sacrificio, la collaborazione. In poche parole: stimola ad investire nella costruzione del futuro.
Ma è ancora così? Da alcuni anni ormai l'Italia sembra aver perso quello slancio che per decenni ne ha sostenuto la crescita. Si è diffusa nella società la sensazione di un paese che in qualche modo si è fermato, che non è più in grado di dare ai propri cittadini quelle opportunità di crescita e realizzazione a cui aspirano. Una sensazione che demoralizza e demotiva soprattutto le generazioni più giovani, ma alla quale non si è ancora riusciti a dare una delle risposte. È mancata una riflessione sistematica, che definisse in modo chiaro i contorni del fenomeno, ne cogliesse l'importanza e provasse ad unire le varie forze politiche per identificare delle soluzioni efficaci, fuori dalla logica della propaganda e delle ideologie.
È questo l'obiettivo del primo Rapporto sulla mobilità sociale. Avviare una riflessione approfondita sul tema della mobilità sociale in Italia fornendo dati, analisi, confronti internazionali assieme ad alcune proposte concrete. Una riflessione aperta, non meramente accademica, che possa contribuire ad alimentare un dibattito partecipato, diffuso e, sperabilmente, fruttuoso.
In alegato: Rapporto: L'Italia è un paese bloccato. Muoviamoci!
Due estratti del Rapporto:
Povertà e disuguaglianze
Povertà e disuguaglianze nella distribuzione dei redditi sono elementi molto importanti della mobilità sociale.
Innanzitutto perché vivere in condizioni di privazione economica limita l'accesso ad opportunità non solo materiali ma anche culturali e sociali, che rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo e la realizzazione del pieno potenziale di un individuo. Inoltre la diffusione di povertà e disuguaglianze aumenta a dismisura la percezione di una società iniqua e sempre più difficile da "scalare", demotivando e marginalizzando molte energie.
L'Italia non è certo un paese povero. Tuttavia negli ultimi anni ha visto un sostanziale declino del reddito procapite rispetto agli altri paesi, e ha visto aumentare notevolmente le disuguaglianze, tanto che oggi è uno dei paesi con maggiore disparità nella distribuzione dei redditi non solo in Europa, ma in tutta la comunità dei paesi Ocse.
Per dare una misura più concreta e tangibile di cosa ciò significhi, basta pensare che in Italia il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% del reddito totale nazionale, mentre il 20% delle famiglie più povere percepisce redditi pari solo all'8% del reddito totale.
Ma i problemi dell'Italia su questo fronte non si esauriscono qui. In Italia la povertà ha tratti distintivi che la rendono particolarmente insidiosa. Mentre in molti paesi la povertà colpisce soprattutto anziani e disoccupati, in Italia colpisce in modo particolare le famiglie con figli, anche quelle in cui vi sia almeno un componente che lavora. Il 76% della povertà infantile italiana riguarda bambini in famiglie con un genitore occupato (contro una media Ocse del 47%). La situazione delle famiglie italiane appare particolarmente penalizzata, soprattutto quelle con figli piccoli.
Come mostra un'approfondita ricerca sulla povertà in Italia condotta dall'Istat, la presenza di figli all'interno della famiglia si associa a un disagio economico superiore alla media. L'incidenza di povertà infatti risulta pari al 14% tra le coppie con due figli e al 22,8% tra quelle con almeno tre, percentuali che salgono rispettivamente al 15,5% e al 27,1% se i figli sono minori , contro una media nazionale dell'11%. Un dato allarmante anche confrontato con gli altri paesi europei: il tasso medio di povertà per le famiglie con figli è del 7% in Francia, 9% in Inghilterra, per non parlare dei paesi del nord Europa, dove oscilla tra il 2% della Danimarca e il 4% di Svezia, Norvegia e Finlandia.
Questo è uno dei motivi alla base del triste primato negativo detenuto dall'Italia: uno dei tassi di povertà infantile più alti d'Europa.
Secondo i dati dell'Ocse, che misura la povertà come un reddito inferiore al 60% del reddito mediano, l'Italia annovera uno dei tassi di povertà infantile più elevati: il 16%.
Secondo i dati Eurostat, che adotta una soglia di povertà leggeremente più elevata (intesa come reddito inferiore al 50% del reddito mediano), in Italia il 25% dei bambini vive in famiglie povere: il tasso più alto tra i paesi europei.
Il 25%, una cifra altissima. Questo significa che due milioni e mezzo di bambini italiani vivono in condizioni di privazione materiale e, molto spesso, sociale e culturale. Bambini che si porteranno dietro uno svantaggio di cui non sono responsabili. Non a caso i test scolastici dell'Ocse condotti sui quindicenni mostrano che il 67% dei ragazzi italiani che conseguono cattivi risultati nei test provengono da famiglie di basso status sociale. E sono sempre i figli delle famiglie più povere e meno istruite che hanno la minore probabilità di andare all'università e laurearsi, in Italia più che altrove. L'80% dei laureati ha almeno un genitore laureato. E tali probabilità non sono migliorate nel tempo, anzi, per i figli di diplomati la probabilità di laurearsi è più bassa oggi di quanto non fosse una generazione fa.
Le difficoltà economiche descritte colpiscono soprattutto le famiglie giovani, quelle in cui i genitori sono agli inizi delle loro carriere - carriere che in Italia sono sempre più faticose e lente -, e in cui i bimbi sono piccoli, con tutta una serie di spese e vincoli collegati con la cura dell'infanzia nel nostro paese.
Le condizioni attuali di queste giovani famiglie e dei loro figli rappresenta un'ombra sulla nostra crescita e competitività futura. Anche perchè, come vedremo tra poco, la mobilità dei redditi tra generazioni in Italia è molto bassa: ovvero i figli dei poveri tendono a restare poveri e i figli dei ricchi a rimanere ricchi.
Conclusioni
In questo Rapporto si è cercato di adottare un approccio che cogliesse le varie dimensioni della mobilità sociale: dalla povertà alle disuguaglianze, alla mobilità dei redditi e così via. Le proposte elaborate sono partite dai risultati di queste analisi, focalizzandosi su alcune priorità. Restano comunque altri temi collegati agli aspetti affrontati sin qui di cui è necessario tenere conto per impostare un dibattito sulla mobilità sociale completo e per immaginare politiche efficaci e di lungo periodo.
Scuola
Sia l'analisi che le proposte avanzate nel Rapporto hanno messo molto in evidenza la necessità di incentivare i giovani a intraprendere e completare percorsi di studio e formazione e sostenerli in queste scelte, nella convinzione che istruzione e formazione siano strumenti fondamentali per costruire migliori opportunità sia per loro che per tutto il paese. Tuttavia, quella della scuola e dell'istruzione è una medaglia a due facce. E se da un lato è importante fare in modo che i ragazzi abbiano l'opportunità e l'incentivo a studiare, dall'altro lato è fondamentale assicurarci che la scuola a cui hanno accesso sia una scuola funzionante e autorevole. La qualità dell'insegnamento, i saperi e i processi di apprendimento a cui i ragazzi sono esposti, sono elementi cruciali per il loro futuro e la competitività del paese. Sono la molla più potente della mobilità sociale. Non è un caso se paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, che stanno cercando di rimettere in moto una mobilità che si era andata perdendo negli ultimi anni, stanno investendo molto non solo nei ragazzi, ma anche nella riqualificazione degli insegnanti e della scuola. È importante quindi non dimenticare che per rimettere in moto il paese sono necessari interventi anche in quest'ambito.
Immigrazione
Da sempre i paesi che hanno saputo accogliere e valorizzare il contributo di lavoro, idee e passione di persone provenienti da tutto il mondo sono quelli più in grado di coltivare un'elevata mobilità sociale. Sono paesi capaci di proiettare nelle loro società e altrove il senso della possibilità, dell'opportunità per tutti, generando così in ogni cittadino una forte motivazione a fare del proprio meglio. Al contrario, l'incapacità di integrare e valorizzare le energie di chi arriva da fuori ha effetti devastanti sia sulla crescita economica di un paese che sul suo sviluppo sociale. Per questo affrontare il tema dell'immigrazione in modo positivo e lungimirante è fondamentale per il futuro del paese. Perché è solo coltivando questo dinamismo economico e sociale che un paese diventa attrattivo, ottimista e capace di generare entusiasmo. Per esempio, il dinamismo e la capacità attrattiva della Spagna degli ultimi anni sono legati anche alla facilità con cui migliaia di giovani provenienti da tutta Europa hanno potuto trasferirsivi e accedere alle stesse agevolazioni ed opportunità dei giovani nati in Spagna. In Italia vi sono agevolazioni che non possono applicarsi neppure fuori dalla regione in cui si è nati. Con questa mentalità provinciale si condanna l'Italia all'implosione, alla morte per asfissia. Una nazione deve valutare le persone per quello che possono e vogliono fare in e per il paese, non per dove sono nate. Così si crea un grande paese, amato e rispettato da tutte le persone che ci vivono.
Specificità territoriali
L'analisi condotta in questo Rapporto non è entrata nel dettaglio della distribuzione territoriale dei fenomeni descritti. Certamente, alcuni aspetti tra quelli affrontati hanno una forte connotazione geografica come, per esempio, il tasso di povertà infantile e il tasso di inattività delle donne con figli piccoli, assai più pronunciati al sud che al nord. Si tratta di aspetti importanti di cui è opportuno tenere in considerazione nell'elaborazione di alcune politiche specifiche. Tuttavia, pensare che il tema della mobilità sociale e delle opportunità sia un tema che riguarda solo il sud sarebbe un gravissimo errore. Le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, per esempio, sono evidenti anche in molte regioni del centro-nord. Il Lazio, per esempio, ha un indice di disuglianza nella distribuzione dei redditi superiore a quello, già altissimo, della Sicilia o della Calabria. Similmente, la dispersione scolastica è elevata in certe zone del nord come al sud, così come la difficoltà ad accedere ad alcune opportunità di realizzazione professionale, i ritardi dei giovani nel rendersi autonomi, e altri segnali rintracciabili tanto al nord quanto al sud. Andando a guardare la ripartizione geografica dei risultati del sondaggio sulla mobilità sociale citato nella prima parte di questo Rapporto, si nota che non vi sono sostanziali divergenze tra i giovani del nord e quelli del sud. Insomma, la sensazione di vivere in un paese bloccato è una triste realtà che accomuna i giovani di tutta Italia. Questi dati non fanno che confermare che la mobilità sociale è e deve essere una priorità per il nostro paese.
Continuità, coordinamento e controllo
L'elaborazione di nuove politiche per la mobilità sociale dovrà necessariamente accompagnarsi ad una riflessione non solo su proposte e risorse ma anche su alcuni aspetti chiave finora mancanti: continuità, coordinamento e controllo. L'analisi degli interventi realizzati in Italia in materia di politiche sociali, per l'infanzia e per i giovani ha mostrato un quadro sconcertante su questi fronti.
Manca innanzitutto continuità: nelle iniziative, nei criteri sui quali sono impostate, e nei finanziamenti. Criteri di allocazione che cambiano nel tempo generando sovrapposizioni e inefficienze (come per gli assegni familiari, di cui pare che oggi beneficino migliaia di famiglie che non hanno nemmeno figli minori), piani biennali che divengono decennali (come il Piano Nazionale per l'Infanzia, biennale, scomparso dal 2002), fondi nazionali istituiti e poi scomparsi, accorpati, o distribuiti solo ad alcuni enti (come il Fondo Nazionale per l'Infanzia, decimato rispetto agli obiettivi iniziali e distribuito solo a tredici città italiane). È difficile pensare di intervenire in modo efficace sui problemi più critici del paese con questa discontinuità di strumenti, di risorse, di criteri. Ma quel che più colpisce è la mancanza di un coordinamento vero ed efficace sulle priorità e sulle modalità di intervento nelle varie regioni, nonché operazioni sistematiche di monitoraggio e controllo sul raggiungimento degli obiettivi e di determinati standard di prestazione su tutto il territorio nazionale. Monitoraggi che negli altri paesi avvengono ormai con regolarità e in modo rigoroso, con raccolta, elaborazione e pubblicazione di dati e risultati, con l'obiettivo non di glorificare le azioni intraprese, ma di valutarne l'efficacia e correggerne le debolezze. In Italia tutto questo non esiste se non in modo frammentario e inefficiente. Alcune regioni conducono monitoraggi dettagliati e sistematici, altre sono buchi neri in cui non si riesce a trovar traccia di come o dove vengono investite le risorse. Questo comporta disparità e divari che non sono accettabili in uno stato civile. Peraltro un'efficace opera di coordinamento e controllo sarebbe fondamentale non solo per limitare e punire gli abusi ma anche per poter riconoscere e premiare le eccellenze locali che pure esistono in molte parti d'Italia e diffonderle nel resto del paese.
Non sono obiettivi impossibili. Si tratta di problemi risolvibili se solo si affrontassero con tempestività alcuni nodi fondamentali. Molte difficoltà di coordinamento e monitoraggio non sono dovute a cattiva volontà degli operatori, ma derivano spesso da questioni "tecniche" lasciate irrisolte. Per quanto riguarda i temi affrontati in questo rapporto un nodo rilevante è legato alla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, con la quale molti aspetti delle politiche sociali sono divenuti di competenza esclusiva delle Regioni. Questo cambiamento sembra aver bloccato la capacità di iniziativa, coordinamento e controllo da parte dello Stato centrale. Ma si tratta di un'impasse che potrebbe essere risolta stabilendo in modo più chiaro le competenze e le responsabilità ai vari livelli, cosa che manca. Per esempio, da anni si attende una definizione dettagliata dei cosidetti "livelli essenziali delle prestazioni sociali". Una definizione che non è mai avvenuta, lasciando un alone di ambiguità che alimenta ritardi e pratiche di scaricabarile. Occorre fare attenzione che il decentramento non diventi una scusa per abbandonare molte comunità a se stesse e deresponsabilizzare un'intera classe dirigenziale. Nessuna modifica delle forme di amministrazione pubblica può esimere lo Stato dallo svolgere quel ruolo di coordinamento e controllo che garantisca l'accesso di tutti i cittadini a servizi di qualità e pari opportunità di sviluppo.
Da: www.italiafutura.it
Verso la fine degli anni Cinquanta meno della metà della popolazione italiana aveva accesso ad una televisione, per le strade circolava una macchina ogni trentasei abitanti, e più della metà degli italiani faceva l'operaio. Trent'anni dopo l'Italia aveva un prodotto interno lordo tra i più alti del mondo occidentale, superando anche l'Inghilterra; televisioni, telefoni e automobili abbondavano ormai in tutte le famiglie e molti dei figli degli operai degli anni Cinquanta erano diventati impiegati di buon livello, medici, avvocati, commercialisti.
Questi risultati sono stati possibili grazie ad un periodo di grande dinamismo e mobilità della nostra società. Una mobilità che ha consentito non solo a milioni di italiani di raggiungere condizioni di benessere individuale, ma a tutto il paese di crescere e svilupparsi, di conquistarsi un posto tra i grandi del mondo e di acquistare fiducia in se stesso. Perché è questo il grande potere della mobilità sociale: non solo il recupero di efficienza economica legato ad una distribuzione di opportunità più ampia e paritaria, ma il recupero dell'ottimismo e della voglia di guardare avanti.
Una società mobile alimenta la fiducia nel domani, dà il senso della possibilità, e motiva gli individui ad investire in tutto quello che aiuta a crescere: lo studio, il lavoro, il sacrificio, la collaborazione. In poche parole: stimola ad investire nella costruzione del futuro.
Ma è ancora così? Da alcuni anni ormai l'Italia sembra aver perso quello slancio che per decenni ne ha sostenuto la crescita. Si è diffusa nella società la sensazione di un paese che in qualche modo si è fermato, che non è più in grado di dare ai propri cittadini quelle opportunità di crescita e realizzazione a cui aspirano. Una sensazione che demoralizza e demotiva soprattutto le generazioni più giovani, ma alla quale non si è ancora riusciti a dare una delle risposte. È mancata una riflessione sistematica, che definisse in modo chiaro i contorni del fenomeno, ne cogliesse l'importanza e provasse ad unire le varie forze politiche per identificare delle soluzioni efficaci, fuori dalla logica della propaganda e delle ideologie.
È questo l'obiettivo del primo Rapporto sulla mobilità sociale. Avviare una riflessione approfondita sul tema della mobilità sociale in Italia fornendo dati, analisi, confronti internazionali assieme ad alcune proposte concrete. Una riflessione aperta, non meramente accademica, che possa contribuire ad alimentare un dibattito partecipato, diffuso e, sperabilmente, fruttuoso.
In alegato: Rapporto: L'Italia è un paese bloccato. Muoviamoci!
Due estratti del Rapporto:
Povertà e disuguaglianze
Povertà e disuguaglianze nella distribuzione dei redditi sono elementi molto importanti della mobilità sociale.
Innanzitutto perché vivere in condizioni di privazione economica limita l'accesso ad opportunità non solo materiali ma anche culturali e sociali, che rappresentano risorse fondamentali per lo sviluppo e la realizzazione del pieno potenziale di un individuo. Inoltre la diffusione di povertà e disuguaglianze aumenta a dismisura la percezione di una società iniqua e sempre più difficile da "scalare", demotivando e marginalizzando molte energie.
L'Italia non è certo un paese povero. Tuttavia negli ultimi anni ha visto un sostanziale declino del reddito procapite rispetto agli altri paesi, e ha visto aumentare notevolmente le disuguaglianze, tanto che oggi è uno dei paesi con maggiore disparità nella distribuzione dei redditi non solo in Europa, ma in tutta la comunità dei paesi Ocse.
Per dare una misura più concreta e tangibile di cosa ciò significhi, basta pensare che in Italia il 20% delle famiglie più ricche detiene quasi il 40% del reddito totale nazionale, mentre il 20% delle famiglie più povere percepisce redditi pari solo all'8% del reddito totale.
Ma i problemi dell'Italia su questo fronte non si esauriscono qui. In Italia la povertà ha tratti distintivi che la rendono particolarmente insidiosa. Mentre in molti paesi la povertà colpisce soprattutto anziani e disoccupati, in Italia colpisce in modo particolare le famiglie con figli, anche quelle in cui vi sia almeno un componente che lavora. Il 76% della povertà infantile italiana riguarda bambini in famiglie con un genitore occupato (contro una media Ocse del 47%). La situazione delle famiglie italiane appare particolarmente penalizzata, soprattutto quelle con figli piccoli.
Come mostra un'approfondita ricerca sulla povertà in Italia condotta dall'Istat, la presenza di figli all'interno della famiglia si associa a un disagio economico superiore alla media. L'incidenza di povertà infatti risulta pari al 14% tra le coppie con due figli e al 22,8% tra quelle con almeno tre, percentuali che salgono rispettivamente al 15,5% e al 27,1% se i figli sono minori , contro una media nazionale dell'11%. Un dato allarmante anche confrontato con gli altri paesi europei: il tasso medio di povertà per le famiglie con figli è del 7% in Francia, 9% in Inghilterra, per non parlare dei paesi del nord Europa, dove oscilla tra il 2% della Danimarca e il 4% di Svezia, Norvegia e Finlandia.
Questo è uno dei motivi alla base del triste primato negativo detenuto dall'Italia: uno dei tassi di povertà infantile più alti d'Europa.
Secondo i dati dell'Ocse, che misura la povertà come un reddito inferiore al 60% del reddito mediano, l'Italia annovera uno dei tassi di povertà infantile più elevati: il 16%.
Secondo i dati Eurostat, che adotta una soglia di povertà leggeremente più elevata (intesa come reddito inferiore al 50% del reddito mediano), in Italia il 25% dei bambini vive in famiglie povere: il tasso più alto tra i paesi europei.
Il 25%, una cifra altissima. Questo significa che due milioni e mezzo di bambini italiani vivono in condizioni di privazione materiale e, molto spesso, sociale e culturale. Bambini che si porteranno dietro uno svantaggio di cui non sono responsabili. Non a caso i test scolastici dell'Ocse condotti sui quindicenni mostrano che il 67% dei ragazzi italiani che conseguono cattivi risultati nei test provengono da famiglie di basso status sociale. E sono sempre i figli delle famiglie più povere e meno istruite che hanno la minore probabilità di andare all'università e laurearsi, in Italia più che altrove. L'80% dei laureati ha almeno un genitore laureato. E tali probabilità non sono migliorate nel tempo, anzi, per i figli di diplomati la probabilità di laurearsi è più bassa oggi di quanto non fosse una generazione fa.
Le difficoltà economiche descritte colpiscono soprattutto le famiglie giovani, quelle in cui i genitori sono agli inizi delle loro carriere - carriere che in Italia sono sempre più faticose e lente -, e in cui i bimbi sono piccoli, con tutta una serie di spese e vincoli collegati con la cura dell'infanzia nel nostro paese.
Le condizioni attuali di queste giovani famiglie e dei loro figli rappresenta un'ombra sulla nostra crescita e competitività futura. Anche perchè, come vedremo tra poco, la mobilità dei redditi tra generazioni in Italia è molto bassa: ovvero i figli dei poveri tendono a restare poveri e i figli dei ricchi a rimanere ricchi.
Conclusioni
In questo Rapporto si è cercato di adottare un approccio che cogliesse le varie dimensioni della mobilità sociale: dalla povertà alle disuguaglianze, alla mobilità dei redditi e così via. Le proposte elaborate sono partite dai risultati di queste analisi, focalizzandosi su alcune priorità. Restano comunque altri temi collegati agli aspetti affrontati sin qui di cui è necessario tenere conto per impostare un dibattito sulla mobilità sociale completo e per immaginare politiche efficaci e di lungo periodo.
Scuola
Sia l'analisi che le proposte avanzate nel Rapporto hanno messo molto in evidenza la necessità di incentivare i giovani a intraprendere e completare percorsi di studio e formazione e sostenerli in queste scelte, nella convinzione che istruzione e formazione siano strumenti fondamentali per costruire migliori opportunità sia per loro che per tutto il paese. Tuttavia, quella della scuola e dell'istruzione è una medaglia a due facce. E se da un lato è importante fare in modo che i ragazzi abbiano l'opportunità e l'incentivo a studiare, dall'altro lato è fondamentale assicurarci che la scuola a cui hanno accesso sia una scuola funzionante e autorevole. La qualità dell'insegnamento, i saperi e i processi di apprendimento a cui i ragazzi sono esposti, sono elementi cruciali per il loro futuro e la competitività del paese. Sono la molla più potente della mobilità sociale. Non è un caso se paesi come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, che stanno cercando di rimettere in moto una mobilità che si era andata perdendo negli ultimi anni, stanno investendo molto non solo nei ragazzi, ma anche nella riqualificazione degli insegnanti e della scuola. È importante quindi non dimenticare che per rimettere in moto il paese sono necessari interventi anche in quest'ambito.
Immigrazione
Da sempre i paesi che hanno saputo accogliere e valorizzare il contributo di lavoro, idee e passione di persone provenienti da tutto il mondo sono quelli più in grado di coltivare un'elevata mobilità sociale. Sono paesi capaci di proiettare nelle loro società e altrove il senso della possibilità, dell'opportunità per tutti, generando così in ogni cittadino una forte motivazione a fare del proprio meglio. Al contrario, l'incapacità di integrare e valorizzare le energie di chi arriva da fuori ha effetti devastanti sia sulla crescita economica di un paese che sul suo sviluppo sociale. Per questo affrontare il tema dell'immigrazione in modo positivo e lungimirante è fondamentale per il futuro del paese. Perché è solo coltivando questo dinamismo economico e sociale che un paese diventa attrattivo, ottimista e capace di generare entusiasmo. Per esempio, il dinamismo e la capacità attrattiva della Spagna degli ultimi anni sono legati anche alla facilità con cui migliaia di giovani provenienti da tutta Europa hanno potuto trasferirsivi e accedere alle stesse agevolazioni ed opportunità dei giovani nati in Spagna. In Italia vi sono agevolazioni che non possono applicarsi neppure fuori dalla regione in cui si è nati. Con questa mentalità provinciale si condanna l'Italia all'implosione, alla morte per asfissia. Una nazione deve valutare le persone per quello che possono e vogliono fare in e per il paese, non per dove sono nate. Così si crea un grande paese, amato e rispettato da tutte le persone che ci vivono.
Specificità territoriali
L'analisi condotta in questo Rapporto non è entrata nel dettaglio della distribuzione territoriale dei fenomeni descritti. Certamente, alcuni aspetti tra quelli affrontati hanno una forte connotazione geografica come, per esempio, il tasso di povertà infantile e il tasso di inattività delle donne con figli piccoli, assai più pronunciati al sud che al nord. Si tratta di aspetti importanti di cui è opportuno tenere in considerazione nell'elaborazione di alcune politiche specifiche. Tuttavia, pensare che il tema della mobilità sociale e delle opportunità sia un tema che riguarda solo il sud sarebbe un gravissimo errore. Le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, per esempio, sono evidenti anche in molte regioni del centro-nord. Il Lazio, per esempio, ha un indice di disuglianza nella distribuzione dei redditi superiore a quello, già altissimo, della Sicilia o della Calabria. Similmente, la dispersione scolastica è elevata in certe zone del nord come al sud, così come la difficoltà ad accedere ad alcune opportunità di realizzazione professionale, i ritardi dei giovani nel rendersi autonomi, e altri segnali rintracciabili tanto al nord quanto al sud. Andando a guardare la ripartizione geografica dei risultati del sondaggio sulla mobilità sociale citato nella prima parte di questo Rapporto, si nota che non vi sono sostanziali divergenze tra i giovani del nord e quelli del sud. Insomma, la sensazione di vivere in un paese bloccato è una triste realtà che accomuna i giovani di tutta Italia. Questi dati non fanno che confermare che la mobilità sociale è e deve essere una priorità per il nostro paese.
Continuità, coordinamento e controllo
L'elaborazione di nuove politiche per la mobilità sociale dovrà necessariamente accompagnarsi ad una riflessione non solo su proposte e risorse ma anche su alcuni aspetti chiave finora mancanti: continuità, coordinamento e controllo. L'analisi degli interventi realizzati in Italia in materia di politiche sociali, per l'infanzia e per i giovani ha mostrato un quadro sconcertante su questi fronti.
Manca innanzitutto continuità: nelle iniziative, nei criteri sui quali sono impostate, e nei finanziamenti. Criteri di allocazione che cambiano nel tempo generando sovrapposizioni e inefficienze (come per gli assegni familiari, di cui pare che oggi beneficino migliaia di famiglie che non hanno nemmeno figli minori), piani biennali che divengono decennali (come il Piano Nazionale per l'Infanzia, biennale, scomparso dal 2002), fondi nazionali istituiti e poi scomparsi, accorpati, o distribuiti solo ad alcuni enti (come il Fondo Nazionale per l'Infanzia, decimato rispetto agli obiettivi iniziali e distribuito solo a tredici città italiane). È difficile pensare di intervenire in modo efficace sui problemi più critici del paese con questa discontinuità di strumenti, di risorse, di criteri. Ma quel che più colpisce è la mancanza di un coordinamento vero ed efficace sulle priorità e sulle modalità di intervento nelle varie regioni, nonché operazioni sistematiche di monitoraggio e controllo sul raggiungimento degli obiettivi e di determinati standard di prestazione su tutto il territorio nazionale. Monitoraggi che negli altri paesi avvengono ormai con regolarità e in modo rigoroso, con raccolta, elaborazione e pubblicazione di dati e risultati, con l'obiettivo non di glorificare le azioni intraprese, ma di valutarne l'efficacia e correggerne le debolezze. In Italia tutto questo non esiste se non in modo frammentario e inefficiente. Alcune regioni conducono monitoraggi dettagliati e sistematici, altre sono buchi neri in cui non si riesce a trovar traccia di come o dove vengono investite le risorse. Questo comporta disparità e divari che non sono accettabili in uno stato civile. Peraltro un'efficace opera di coordinamento e controllo sarebbe fondamentale non solo per limitare e punire gli abusi ma anche per poter riconoscere e premiare le eccellenze locali che pure esistono in molte parti d'Italia e diffonderle nel resto del paese.
Non sono obiettivi impossibili. Si tratta di problemi risolvibili se solo si affrontassero con tempestività alcuni nodi fondamentali. Molte difficoltà di coordinamento e monitoraggio non sono dovute a cattiva volontà degli operatori, ma derivano spesso da questioni "tecniche" lasciate irrisolte. Per quanto riguarda i temi affrontati in questo rapporto un nodo rilevante è legato alla modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, con la quale molti aspetti delle politiche sociali sono divenuti di competenza esclusiva delle Regioni. Questo cambiamento sembra aver bloccato la capacità di iniziativa, coordinamento e controllo da parte dello Stato centrale. Ma si tratta di un'impasse che potrebbe essere risolta stabilendo in modo più chiaro le competenze e le responsabilità ai vari livelli, cosa che manca. Per esempio, da anni si attende una definizione dettagliata dei cosidetti "livelli essenziali delle prestazioni sociali". Una definizione che non è mai avvenuta, lasciando un alone di ambiguità che alimenta ritardi e pratiche di scaricabarile. Occorre fare attenzione che il decentramento non diventi una scusa per abbandonare molte comunità a se stesse e deresponsabilizzare un'intera classe dirigenziale. Nessuna modifica delle forme di amministrazione pubblica può esimere lo Stato dallo svolgere quel ruolo di coordinamento e controllo che garantisca l'accesso di tutti i cittadini a servizi di qualità e pari opportunità di sviluppo.
Da: www.italiafutura.it
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venerdì 23 ottobre 2009
25 Ottobre Primarie PD vota Bersani e Bottini
Costruiamo un partito in grado di “Pensare l’Umbria del domani”, da soggetto protagonista.
Per farlo possiamo contare non solo su solide radici storiche, politiche e culturali, ma su nuove gambe snelle e veloci perché fatte di nuove idee, proposte e scommesse per il futuro.
VIDEO
http://www.facebook.com/video/video.php?v=1278392879661&ref=nf
Per farlo possiamo contare non solo su solide radici storiche, politiche e culturali, ma su nuove gambe snelle e veloci perché fatte di nuove idee, proposte e scommesse per il futuro.
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giovedì 22 ottobre 2009
BERSANI : PD, vecchia e nuova generazione
Vi proponiamo un video intervento di Bersani moltooooo...interessante
http://www.youtube.com/watch?v=7ENSrPccE7A&feature=player_embedded
http://www.youtube.com/watch?v=7ENSrPccE7A&feature=player_embedded
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sabato 17 ottobre 2009
Incontro fra il candidato del Pd BERSANI e il terzo settore.
LUNEDI 19 alle ore 18,00 al Circolo Arci di Sferracavallo (Orvieto-TR) Catiuscia Marini incintra il III settore in una iniziativa della Mozione Bersani
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da www.associazioniinrete.it/
«Negli ultimi due anni non c'è stato confronto Un errore per chi punta alla coesione sociale».
Le proposte, più o meno, sono quelle. «Welfare efficace e sostenibile », ovviamente «da riformare», ma senza dimenticare«le grandi riforme» targate centrosinistra (old version), quelle Turco (Livia) per l'assistenza e quella Bindi (Rosy) per la sanità, ma anche l'innalzamento delle pensioni a 700 euro (governo Prodi bis, last version). L'idea anche, è sempre quella: «Riqualificare l'intervento pubblico e promuovere una nuova alleanza tra Stato, terzo settore e soggetti privati, ispirata al principio di sussidiarietà, nella chiarezza delle diverse responsabilità », ma qui sa un po' di criptico.
In ogni caso, l'incontro tra il candidato alla segreteria nazionale del Pd, Pierluigi Bersani, e il mondo dell'associazionismo, volontariato e non profit è molto nello stile dell'uomo (e del candidato).
Low profile, sala vuotina («c'è in contemporanea il Consiglio generale del Forum del terzo settore», spiega Emiliano Monteverde, giovane ex diessino bersaniano sul palco assieme al candidato alla segreteria regionale del Pd, Lorenzo Mazzoli, e alla ex presidente dell'Auser ed ex portavoce del Forum, Maria Guidotti, molti discorsi "pancia a terra" e pochissime concessioni alla "dittatura" dei media.
In sala, quella tutta romana dell'Auditorium di via Rieti, non è che manchi, il terzo settore, anzi. Il mondo del non profit è presente ad alto livello: c'è l'Anpas, la Fish, il Vis, Intersos, Psichiatria democratica, Federconsumatori e molti altri. C'è anche Paolo Beni, presidente dell'Arci, che ha parlato anche da Franceschini, due settimane fa. Mancano le Acli, è vero, ma come ci fa notare Mimmo Lucà, capofila dei Cristiano Sociali che appoggiano compattamente Bersani, «il presidente Andrea Olivero è venuto al mio convegno sulla Caritas in veritate, dove ha interloquito proprio con Bersani».
Che Bersani sia amato, dai cattolici - compresi quelli che militano nel centrodestra - non è una novità da anni. Lo testimoniano i ripetuti inviti ricevuti (e onorati) dall'ex ministro al Meeting di Rimini. Né mancano i consensi e gli apprezzamenti di molti altri esponenti e movimenti del mondo cattolico, dall'Mcl a Confcooperative.
Resta in piedi, però, un problema, che lo stesso Bersani ha sottolineato, nell'incontro che si è tenuto martedì 13 ottobre all'Auditorium di via Rieti: «Negli ultimi due anni non ci sono stati luoghi di confronto, dentro il Pd, con il mondo del sociale e del non profit, mentre invece avremmo dovuto e dovremmo avere sempre "l'orecchio a terra", se vogliamo fare davvero un grande partito popolare che ha a cuore la coesione sociale». Già, ottima idea. Anche se le parole di Bersani vanno subito di traverso al responsabile del non profit del Pd, il franceschiniano Gianluca Lioni: «A forza di avere l'orecchio a terra, Bersani deve essersi distratto». Mah, bagatelle di partito, si potrebbe dire. Livia Turco, però, un'altra che appoggia Bersani, la pensa allo stesso modo: «Vi abbiamo abbandonati, invece a partire dalla povertà a quello della non autosufficienza e fino al servizio civile dobbiamo riprendere il dialogo ».
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mercoledì 14 ottobre 2009
Le liberalizzazioni di Bersani
"Un altro punto d’attacco per noi è la libertà economica.
Mentre ribadiamo che ci sono beni fondamentali che non intendiamo affidare al mercato (salute, istruzione, sicurezza) diciamo anche che è tempo di una offensiva liberale per aprire mercati regolati in molti settori dell’economia oggi strozzati da sistemi relazionali, corporativi, monopolistici.
Il cittadino-consumatore al centro e al centro la possibilità di iniziativa economica su basi di parità, a cominciare dai giovani! "
Questo dice Pier Luigi Bersani nel suo discorso alla Convenzione Nazionale del PD
Farmaci, mutui, banche, assicurazioni, e tanto altro, sono stati oggetto delle sue famose "lenzuolate" , che hanno portato tanti benefici reali ai cittadini italiani.
Da lui, ancora una volta, azioni concrete e non solo parole.
Guarda cosa è cambiato grazie alla sua azione di governo http://www.bersanisegretario.it/gw/producer/producer.aspx?t=/SPECIALI/per_te.htm .
Mentre ribadiamo che ci sono beni fondamentali che non intendiamo affidare al mercato (salute, istruzione, sicurezza) diciamo anche che è tempo di una offensiva liberale per aprire mercati regolati in molti settori dell’economia oggi strozzati da sistemi relazionali, corporativi, monopolistici.
Il cittadino-consumatore al centro e al centro la possibilità di iniziativa economica su basi di parità, a cominciare dai giovani! "
Questo dice Pier Luigi Bersani nel suo discorso alla Convenzione Nazionale del PD
Farmaci, mutui, banche, assicurazioni, e tanto altro, sono stati oggetto delle sue famose "lenzuolate" , che hanno portato tanti benefici reali ai cittadini italiani.
Da lui, ancora una volta, azioni concrete e non solo parole.
Guarda cosa è cambiato grazie alla sua azione di governo http://www.bersanisegretario.it/gw/producer/producer.aspx?t=/SPECIALI/per_te.htm .
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domenica 11 ottobre 2009
BERSANI : Apriamo il fronte di una battaglia democratica
Prima di ogni altra cosa un saluto a tutti gli iscritti che hanno partecipato ai congressi di circolo, comunque abbiano scelto o votato.
È stata una straordinaria e inedita prova di democrazia di cui dobbiamo essere orgogliosi.
Ricordiamoci che chi lavora per fare un partito lavora per realizzare la nostra Carta Costituzionale.
Sento la responsabilità che viene dal risultato della mia mozione. Cercherò di esserne all’altezza.
Lavorerò con gli altri candidati per una straordinaria partecipazione alle primarie e perché le primarie mostrino sia il nostro aperto confronto di idee sia la nostra amicizia e la nostra unità.
L’ho detto fin dall’inizio: non c’è bisogno di interpretare o tanto meno di deformare posizioni altrui, e ancora meno di litigare.
Ognuno dice la sua, iscritti ed elettori decidono. Noi ci atteniamo alle loro decisioni.
Ribadisco che per quello che mi riguarda l’unico avversario possibile è colui che piccona la ditta.
Gli altri sono tutti amici e compagni e voglio lavorare con loro in solidarietà e unità.
Questi minuti li dedicherò a parlare di politica e di Italia.
Dobbiamo sentire acutamente la responsabilità di far vivere la nostra vicenda congressuale nel pieno del passaggio cruciale che il nostro Paese sta vivendo, nel pieno della crisi democratica e sociale.
Guai se ci sorprendessero a parlare d’altro.
Parliamo di Italia dunque e parliamone in modo veritiero.
Quali sono i tratti di fondo di questa lunga fase della vita italiana?
Sono una deformazione di fatto degli equilibri costituzionali e un indebolimento progressivo delle nostre prestazioni economiche e sociali rispetto all’Europa e al mondo.
Dire questo non significa essere catastrofisti o alimentare la sfiducia o sottovalutare dinamismi, eccellenze, potenzialità a cui dobbiamo sempre richiamarci.
Dire questo significa ribadire che la realtà va guardata in faccia e che la retorica dello stellone italico, del sole in tasca, dei cieli azzurri sta addormentandoci tutti e rischia di distruggere la capacità di reazione del Paese.
Quei due problemi di fondo entrano oggi in una fase più acuta e più incerta sia dal lato democratico e istituzionale, sia dal lato economico e sociale.
Se si mette l’orecchio a terra si sente nervosismo diffuso, tensione, preoccupazione.
C’è una perdita di orizzonte, una insicurezza crescente nella vita delle persone e delle famiglie, nella prospettiva dell’impresa.
La stessa politica offre al Paese un messaggio di incertezza.
Per dirlo semplicemente, Berlusconi afferra ancora il presente ma non può promettere un futuro né ai suoi né al Paese.
Viviamo dunque su un crinale non sappiamo quanto lungo, né possiamo vedere oggi come si aprirà una fase nuova.
Quel che è certo è che una parte importante dei suoi possibili esiti è nelle nostre mani, nelle nostre mani a cominciare da questo Congresso.
Cominciamo dunque da quello che abbiamo vissuto in questi giorni tumultuosi.
La destra guidata da Berlusconi fa camminare il Paese sull’orlo di una deformazione populista del nostro sistema.
Dobbiamo mettere l’opinione pubblica e la coscienza civile del Paese di fronte alla gravità di questo problema.
Intendiamoci, pulsioni di tipo populista, cioè di semplificazione drastica dei processi di partecipazione democratica, li riscontriamo in molti paesi a democrazia matura.
La difficoltà della democrazia rappresentativa a dominare con efficacia i nuovi problemi lascia spazio a domande di semplificazione e di autorità.
Se altrove tuttavia queste pulsioni sono sfumature pur significative nei meccanismi di consenso, da noi il fenomeno sta penetrando ed è già penetrato ben più in profondità.
Possiamo discutere delle ragioni di tutto questo, ragioni che affondano probabilmente nella cronica debolezza della nostra statualità, nel forte sapore di antipolitica che lasciò in eredità la caduta del muro che avevamo in casa, nella singolare forza, oggettiva e soggettiva, dell’interprete del nuovo spartito.
In ogni caso i fatti ormai si vedono.
Sto parlando del progressivo indebolimento di ogni istituto di mediazione fra popolo e governo, sto parlando dell’idea che il consenso debba prevalere sulle regole, sto parlando dell’idea che noi si sia di fatto fuori dal sistema parlamentare, che gli elettori cioè non eleggano un Parlamento ma un capo e che si possa parlare tranquillamente di coabitazione fra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio.
Questa deformazione ha via via consolidato dei suoi istituti.
Vediamo con evidenza, e le denunciamo, forme di controllo e condizionamento dei mezzi di informazione; vediamo con minore evidenza un fatto ancora più profondo che riguarda la formazione delle leggi.
Il Capo del Governo nomina ormai di fatto i suoi parlamentari.
È il capo che dà la fiducia alla maggioranza e non viceversa.
Con venticinque voti di fiducia e trentotto decreti omnibus in quindici mesi ogni decisione è resa possibile; e quindi ogni pressione e perfino ogni ricatto possono essere possibili verso forze economiche e soggetti sociali, così che prevalgano assuefazione e conformismo; così si pensa di poter portare l’opposizione a quella sensazione di impotenza che genera riflessi ribellistici e minoritari.
Eppure la Costituzione c’è e batte un colpo.
C’è il Presidente della Repubblica, che salutiamo da qui, c’è la Corte Costituzionale.
Ma ecco che arrivano le picconate contro i muri portanti della casa comune.
E le picconate rallentano quando il segno comunque è lasciato e sono pronte comunque a riprendere.
È tempo di reagire ad una deriva che a poco a poco ci allontana dal contesto delle grandi democrazie del mondo.
Ma come reagire?
Non possiamo reagire con risposte speculari che portano legna a quel fuoco che Berlusconi vuole accendere attorno ad una personalizzazione che fa del giudizio del popolo su di lui il giudizio di Dio.
Né peraltro possiamo reagire stando in difesa e abbarbicandoci al politicamente corretto.
Ci vuole una politica di combattimento, bisogna aprire il fronte di una battaglia democratica.
Credo che ci chiamiamo Partito Democratico non perché vogliamo sperimentare la democrazia perfetta in casa nostra, ma perché poniamo al Paese il tema della democrazia e di una democrazia efficiente.
Vogliamo custodire i pilastri costituzionali di una democrazia rappresentativa, rigettare ogni forma di autoritarismo che ci ruberebbe il futuro di paese avanzato fra i paesi avanzati del mondo e ci distaccherebbe intimamente dal contesto europeo.
È tempo di aprire un confronto con tutte le altre forze di opposizione sul tema della democrazia e delle Istituzioni e di rivolgerci alle forze che nella maggioranza sono più consapevoli del problema.
Ribadendo i fondamentali della nostra Costituzione repubblicana dobbiamo avanzare il nostro progetto di riforma centrato su il parlamentarismo modernizzato e rafforzato e scegliendo qualche punto di attacco e di mobilitazione che si faccia capire e che muova le cose nel senso comune.
Quella deriva infatti ha inquinato le falde da cui tutti ormai prendono acqua.
Proviamo con le nostre primarie a dire una cosa precisa.
È possibile che un cittadino possa scegliere il Segretario del PD e non possa scegliere il suo Parlamentare?
Noi vogliamo una legge inquadrata nel sistema bipolare, che garantisca trasparenza e stabilità della maggioranza nella legislatura, e che consenta al cittadino di guardare in faccia il suo Parlamentare, di potergli chiedere conto del suo operato a partire dal suo territorio.
Dobbiamo mobilitarci su questo e chiedere a tutte le forze di opposizione se sono pronte a discutere con noi di una iniziativa su questo punto dirimente.
Detto tutto questo aggiungo subito che non dovremo più fare una battaglia sulla questione democratica separandola dalla questione sociale.
Ogni forma di mobilitazione a cui potremo e dovremo pensare dovrà tenere collegate le due questioni.
Per la storia profonda e per i caratteri profondi di un Paese come il nostro la deformazione del processo democratico può andare in secondo piano se passa l’idea che per quella via qualche problema si risolve.
Non c’è certo bisogno di spiegare questo concetto al nostro Presidente del Consiglio.
Lui si presenta come il personaggio di Pulp Fiction: sono Wolf, risolvo problemi sempre che mi lascino lavorare.
Ma quali problemi ha risolto davvero il signor Wolf?
In ormai dieci anni di governo qual è una riforma che si possa ricordare e che non riguardi lui stesso? Abbiamo forse meno fisco, meno burocrazia, più occupazione, più crescita?
In che cosa è migliorato questo Paese? E adesso, nella crisi, che cosa possiamo dire che stia facendo precisamente se non aspettare che torni il bel tempo?
Non c’è bisogno di essere degli indovini per sapere che cosa succederà: avremo tra quest’anno e l’anno prossimo un milione di disoccupati in più e migliaia di piccole imprese in meno.
E tutto questo per una crisi psicologica! Dopo tanti anni di governo non c’è niente di risolto.
Non si è usato il consenso per fare governo e cioè riforme; si è usato il governo per fare consenso.
Nel Paese è aperta una grande questione sociale alla quale dobbiamo dare voce, per ragioni di giustizia; perché questo è il nostro mestiere; e anche per ragioni di democrazia: la crisi infatti può creare un ulteriore esercito di riserva per le manovre del capo.
Il nostro compito è dunque quello di interpretare la questione sociale, anche in questo caso offrendo uno sguardo ampio del problema e scegliendo punti di attacco e di mobilitazione.
Andiamo alla sostanza. Problemi ne hanno tutti in Europa e nel mondo. Ma da molti anni ormai quando in Europa e nel mondo si cresce noi cresciamo meno e quando si scende noi scendiamo di più.
Così ci giochiamo il futuro.
Anche in questa crisi, se invece di guardare ogni giorno un albero noi guardassimo la foresta, vedremmo che rischiamo una riduzione strutturale della nostra base produttiva, un nostro rimpicciolimento.
Stiamo buttando via le nostre risorse potenziali nell’eccesso di disuguaglianza fra ceti sociali e territori, nell’assenza di mobilità sociale, nell’incapacità di prendere decisioni di sistema, cioè di fare riforme.
Dobbiamo rilanciare l’idea delle riforme con il coraggio e la responsabilità di una nostra visione autonoma.
Riforme sociali, riforme liberali, riforme civiche. Riforme con un nome e un cognome. Non servono qui i soliti elenchi.
Servono punti d’attacco per le proposte e per le iniziative che dobbiamo decidere. Cominciamo da occupazione e redditi.
La priorità assoluta e immediata è quella di portare risorse sui redditi medio-bassi, su chi sta perdendo il lavoro, su chi ha superato la soglia di povertà.
Ci sono poi cantieri di riforme da allestire subito su soglie minime di salario, di reddito, di pensione; sull’unificazione e la tutela dei percorsi di ingresso al lavoro; sulle prospettive del sistema pensionistico e non già dal lato dell’allungamento dell’età (chi ha visto l’evoluzione delle norme sa che questo non è più il problema centrale!) ma bensì sulla tenuta dei livelli pensionistici per le nuove generazioni.
Dobbiamo aprire un confronto per un nuovo patto economico e fiscale con le piccole imprese e con le partite iva, mondo verso il quale abbiamo un problema non risolto.
Dobbiamo promuovere un piano per mettere ambiente ed efficienza energetica immediatamente e stabilmente nel motore della crescita, investendo le politiche industriali, le politiche pubbliche e la qualificazione dei consumi.
Dobbiamo interpretare meglio i temi della scuola e della sanità.
Scuola, Università e Ricerca: la prima e vera fonte energetica del Paese.
Il tratto prevalente dell’operazione Tremonti-Gelmini è quello di una riduzione dell’offerta formativa e dell’occupazione.
Possiamo dire subito che quando toccherà a noi non potremo accettare gli esiti di quella importazione.
Ma così di sussulto in sussulto, il sistema formativo va alla catastrofe in un continuo bricolage di cambiamenti.
Diciamo allora: fermatevi, non consentite il distacco di risorse professionali preziose per il sistema.
Fermatevi, e facciamo finalmente una operazione nazionale, parlamentare sul sistema formativo, mobilitando le migliori competenze così come si fece ad esempio per la riforma del sistema sanitario nazionale, offrendo alle nuove generazioni e al Paese un assetto moderno, stabile e condiviso dell’istruzione e della ricerca.
Quanto alla sanità, qualificazione sì, radicale risanamento sì: abbiamo peraltro eccellenze nell’organizzazione sanitaria in grado di indicare la strada per affrontare i buchi neri che pure abbiamo.
Ma distruggere il sistema universalistico, no! I livelli essenziali di assistenza sono un cardine del sistema universalistico e vanno garantiti in modo universale.
Subito accanto ai temi sociali mettiamo il tema dell’evoluzione dei diritti civili e del rispetto della dignità delle persone.
Basta con gli stereotipi distruttivi sulla dignità della donna. Rispetto per le donne.
Torniamo piuttosto a vederne le condizioni reali di svantaggio e di disuguaglianza, di carico e di fatica nell’organizzazione sociale e familiare.
Aggiungo che a questo fine non si può prescindere da una loro presenza e da un loro protagonismo nei luoghi di decisione.
Per questo non vedo perché non dovremmo sollevare davanti al Paese il tema di regole di transizione o di quote massicce e transitorie sia nei luoghi della politica e delle istituzioni sia in alcuni luoghi dell’economia e della società.
Mostriamoci combattivi, così come stiamo facendo, contro razzismi di ogni genere e contro l’omofobia.
Facendo leva sugli umanesimi forti che stanno nelle nostre radici e che ci consegnano l’idea di un uomo mai separabile dalla sua dignità e dalla sua libertà, stiamo in campo per l’umanizzazione delle conquiste della tecnica.
Diciamolo con chiarezza: non può essere che metà del Paese decida come debba morire l’altra metà; non è possibile. Cerchiamo soluzioni umane e condivise.
E ancora il civismo: grande punto di attacco per le nostre politiche e vera chiave di rapporto con la società civile che anzi preferirei definire come società civica.
Civismo vuol dire innanzitutto sobrietà della politica senza antipolitica.
Ci vuole una Maastricht sui costi della politica che ci metta nella media europea.
Così come ci vuole una Maastricht della fedeltà fiscale con un percorso fatto di dissuasione e di incentivazione.
Civismo è portare il merito dal cielo alla terra accettando e allestendo in ogni campo meccanismi credibili di valutazione; è rispetto per la sicurezza e per la vita umana nei luoghi di vita e di lavoro e soprattutto è legalità, la legalità dello Stato e non delle ronde, la legalità della lotta a tutte le mafie, la legalità di una giustizia civile finalmente riformata e funzionante.
Qui, in questa riscossa civica che il Partito Democratico deve interpretare, metto anche il tema dell’unità del Paese.
Unità ormai non solo o tanto da difendere quanto da conquistare e ricostruire.
Il blocco Lega-destra sta facendo passare l’idea che la politica non deve combattere il divario ma deve interpretarlo, rappresentarlo.
Nella loro visione in realtà la prospettiva del federalismo è appunto questo e questo fa da copertura alla distruzione di ogni politica meridionalistica e alla rapina di ogni risorsa.
Qui e là qualche retro pensiero liquidatorio del tema emerge anche nel nostro mondo.
Anche noi dobbiamo discuterne ma sono convinto che siamo i soli che possono dire le stesse cose a Varese e a Napoli e che possono legare il rinnovamento delle classi dirigenti a politiche meridionalistiche praticabili e davvero nuove nei contenuti.
Sono convinto che abbiamo la forza e la capacità di farlo.
Un altro punto d’attacco per noi è la libertà economica.
Mentre ribadiamo che ci sono beni fondamentali che non intendiamo affidare al mercato (salute, istruzione, sicurezza) diciamo anche che è tempo di una offensiva liberale per aprire mercati regolati in molti settori dell’economia oggi strozzati da sistemi relazionali, corporativi, monopolistici.
Il cittadino-consumatore al centro e al centro la possibilità di iniziativa economica su basi di parità, a cominciare dai giovani!
In questo quadro dobbiamo mettere, facendolo uscire dalle nebbie e portandolo al concreto il tema del conflitto di interessi, fissandolo precisamente su due punti.
Primo, le incompatibilità. Per esempio, chi è nella sostanza il concessionario non può fare anche il concedente.
Secondo, norme contro le posizioni dominanti in tutte le articolazioni che l’evoluzione tecnologica ha portato nei sistemi di comunicazione e di informazione. Qui sta la sostanza del problema; su questo, in una società liberale va concentrata l’iniziativa.
Credo infine ad un nostro risveglio di iniziativa nel grande campo delle politiche locali ormai crucialissime nella formazione degli orientamenti politici.
Le nostre culture che hanno le loro originarie radici nella dimensione del territorio, le nostre culture che hanno inventato l’urbanistica, gli asili nido, le aree artigianali, la sanità pubblica e così via non hanno niente da imparare da chi il quindici anni di veramente nuovo ha inventato solo le ronde.
Tuttavia non possiamo cavarcela così. Dobbiamo portare a sintesi e a politicità le nostre esperienze locali sui nuovi temi di frontiera: la sicurezza, la mobilità, l’ambiente, l’immigrazione, l’integrazione, la rete sussidiaria delle risposte sociali.
I nostri amministratori e in particolare le nuove generazioni dei nostri amministratori, devono essere messe in condizione di aiutarci a produrre un punto di vista, un orientamento nazionale riconoscibile ed identificabile sulle nuove politiche locali.
Mi fermo qui.
Da questi e da altri punti di attacco concreti devono emergere sia il nostro profillo di identità politica, sia la nostra vocazione ad una alternativa di governo, una vocazione al governo del cambiamento.
Noi siamo il partito che pone la questione dell’alternativa di governo sapendo bene che il tempo della semina non è quello del raccolto ma sapendo altrettanto bene che in vista del raccolto la semina ha una certa importanza.
Opposizione vuol dire opporsi e vuol dire anche lavorare visibilmente per offrire un’altra scelta ai cittadini elettori.
Dobbiamo con il Congresso dare un messaggio chiaro e generoso verso l’esigenza di organizzare il campo dell’alternativa.
Chiediamo altrettanta generosità a tutte le altre forze dell’opposizione.
Non siamo più nello scenario di frammentazione esasperata del sistema.
La scelta di fare il Partito Democratico ha cambiato la situazione.
Adesso abbiamo tre cose da fare: rinnovare e rafforzare noi stessi; riaprire il cantiere dell’Ulivo con movimenti politici e civici disposti ad un dialogo con noi; lavorare per un quadro ampio di alleanza politiche.
Noi non vogliamo fare da soli né ci immaginiamo da soli nel futuro.
Chi pensasse di fare da solo lucrando qualcosa dalla divisione delle forze di opposizione se ne prenderebbe la responsabilità.
Penso anzi che dobbiamo proporre già con il nostro Congresso ampie alleanze democratiche e di progresso per le prossime elezioni regionali.
Noi giungiamo a questa politica di apertura con un profilo nostro, senza trattini o divisione dei compiti, con un nostro modo di rivolgerci a tutta l’area del centrosinistra e a quella parte dei ceti popolari che fino a qui hanno guardato a destra.
Il profilo nostro che ho definito sociale, civico e liberale, con la forma, il linguaggio e l’organizzazione di un grande partito popolare dei tempi moderni.
Un partito che si rivolge con concretezza ai ceti popolari (lavoro, piccola impresa, famiglia, nuove generazioni).
Un partito che lavora per correggere i suoi difetti (ne abbiamo visti non pochi in questo viaggio e dovremo ritornarci con grande determinazione).
Un partito non di un uomo solo ma che vive come comunità di protagonisti, che accetta una disciplina liberamente condivisa, che lavora su un rinnovamento fatto non per via di simboli ma riconoscendo piuttosto le nuove forze che sono già in campo e aprendo loro la strada.
Un partito che riconosce che non c’è politica senza pensiero e che riprende quindi in modo non occasionale un rapporto con le forze intellettuali.
Ovviamente un partito plurale, ma non in forma di coabitazione per quanto amichevole.
Un partito che si costruisce come sintesi creativa fra antiche radici e nuove culture.
Se dico sinistra, se dico popolarismo, se dico cattolicesimo democratico, se dico laicità, se dico civismo non sto parlando di correnti, sto parlando di materiali preziosi da amalgamare per costruire il nostro nuovo muro maestro così che le sensibilità e i punti di vista plurali non si balcanizzino e non siano esclusi dalla centralità di un impianto di cultura politica, da trasmettere alle nuove generazioni.
Cari amici e compagni,
invece di dire "futuro" ho detto "storia e senso" sperando che si capisse che intendevo appunto parlare di futuro. Di un futuro che non dimentichi tutti quelli che pronunciando le parole di cui noi facciamo facile uso (libertà, giustizia, democrazia) hanno pagato un prezzo ben più alto del nostro.
Di un futuro che puoi affrontare se ti armi non di vuota retorica ma di un senso sicuro, stabile, convinto. Ho detto cento volte qual è per me il senso e lo ripeto qui: se ti metti dalla parte dei deboli, dei subordinati, di chi lavora, di chi produce puoi fare una società migliore per tutti.
Questo è il senso che vi propongo.
Se non fosse vero questo, se non fosse razionale anche oggi e per il futuro guardare l’innovazione con gli occhi della giustizia e della libertà di tutti, noi non avremmo un mestiere.
Invece è questo il nostro mestiere, la nostra ragione sociale, il nostro senso; quello per cui ci mettiamo in libera associazione, quello per cui diciamo a un giovane: vieni, cambiaci in meglio, combatti con noi!
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11 ottobre 2009,
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LUNEDI' 12 OTTOBRE GIANNI CUPERLO A PERUGIA
Lunedì 12 Ottobre alle 18 a Perugia alla auditorium santa cecilia, c'è un importante incontro tra i ragazzi e le ragazze umbre con Gianni Cuperlo e Lamberto Bottini per sostenere la candidatura di Pierluigi Bersani.
In quell'occasione sarà presentato un contributo politico dei giovani umbri da consegnare sia a Bottini che a Cuperlo (e attraverso di lui a Bersani)... Il risultato è stato un documento corposo frutto di un bel lavoro dei giovani democratici che sostengono Bersani e Bottini.
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mercoledì 7 ottobre 2009
LE BUGIE ( anche quelle di MOCIO ) HANNO LE GAMBE CORTE
Di fronte al disastro dei conti del Comune di Orvieto è un continuo di interventi, recriminazioni, accuse, distinguo, giustificazioni.
Il pericolo è che si crei una gran confusione e non si capisca di cosa si stia parlando.
Veniamo ai fatti. Il Consiglio Comunale di Orvieto, come ogni altro consiglio comunale doveva entro il 30 settembre verificare se quanto previsto con il bilancio di previsione 2009 veniva confermato dall’andamento della spesa dei primi nove mesi.
L'amministrazione Concina non ha rispettato questa scadenza come del resto non ha presentato entro i termini di legge il programma del sindaco. Solo da pochi giorni è stata consegnata in commissione bilancio una proposta che però presenta alcuni lati oscuri, tanto che ha già avuto i rilievi dei revisori dei conti.
Comunque i dati ci sono: lo sbilancio è di 5.767.457,27.
Il primo dato è che quanto dichiarato dal Sindaco Mocio al consiglio del 28 dicembre 2008 all’atto dell’approvazione del bilancio di previsione 2009 :
““ Un bilancio prudenziale ed etico non di campagna elettorale. Sicuramente un bilancio risanato.” non è vero.
Le cose in discussione e i problemi da affrontare :
1. occorre procedere al riconoscimento del debito fuori bilancio ai sensi dell’artt. 193, 194 del DLGS 267/00;
2. Nella redazione del bilancio di previsione 2009 non si è rispettato il disposto di cui all’art. 162 del DLGS 267/00 “Principi del bilancio” c. 1 -in particolare i principi di annualità e vericidità- tanto è che lo stesso Collegio dei Revisori segnala la necessità di rivedere i criteri generali di predisposizione del bilancio di previsione dopo aver manifestato, tra l’altro, “forti perplessità in ordine ai criteri valutativi sulle previsioni di entrata e di spesa” riferite all’atto degli equilibri.
(Non parliamo del Bilancio Pluriennale …..)
3. La Giunta propone contestualmente: riconoscimento debito fuori bilancio, ripristino degli equilibri e una manovra (che vorrebbe assomigliare ad un assestamento) molto consistente sul comparto della spesa del bilancio di competenza 2009. Il tutto finanziato, in buona sostanza, da due fondamentali poste dell’entrata:
- concessione posti auto
- alienazione beni immobili (mattatoio - locali via pecorelli).
IL QUADRO SINTETICO DEI CONTI
Il riequilibrio proposto porta il fabbisogno a € 27.115.000
Questo vuol dire che rispetto al previsionale servono € 5.767.000
Se invece si considera l'assestato 2008 servono € 2.005.000
La differenza tra assestato 2008 e esigenze per riequilibrio € 3.762.000
ANALISI SQUILIRIO 2009
Totale Parziale di nuovo fabbisogno € 3.486.000
altre voci “particolari ;
Derivati € 841.000
SAO/Discarica € 960.000
Biblioteca € 218,000
Affitto ospedale € 370.000
Canoni di appalto € 264.000
____________________________________
Totale € 2..653.000
TOTALE PARZIALE FABBISOGNO € 6.139.000
Minor Entrate € 281.000
Maggiori Entrate (Interessi pass. Obbl. e CRO) € 775.000
Debito Fuori Bil. confatec. € 990.000
TOTALE FABBISOGNO € 6.635.000
Alcune settimane fa per evitare la discussione del programma del Centro Sinistra il Sindaco propose di affidare all’assemblea dei capigruppo il compito di trovare una soluzione. Il centro sinistra ha accettato e si è messo al lavoro.
Le reazioni non si sono fatte attendere : furibonde quelle della destra estrema, piu soft ma non meno insidiose quelle dei sostenitori dell’ex sindaco. Questi ultimi negano che ci sia una deficit così pesante ma dicono che va approvato il riequilibrio, qualunque sia la soluzione proposta.
Ora è chiaro che una cosa è lo squilibrio che denota l’incapacità amministrativa dell’ex sindaco, un conto sono i debiti fuori bilancio su partite come i derivati, la confatec e la convenzione con la SAO. Per queste ultime cose è ovvio che si debba approfondire anche perché le responsabilità possono essere di vario tipo.
Quindi il buon senso dovrebbe spingere a dividere riequilibrio 3,5/4 milioni di euro, che va fatto per forza entro il 10 ottobre, e l’assestamento, per il quale c’è tempo tutto il mese di novembre. Assestamento che deve prefigurare anche il previsionale 2010 e gli interventi sul deficit strutturale che è attorno ai 2/2,5 milioni di euro.
Il riequilibrio è facile, anche perché tra la proposta di Concina e quella di Germani c’è differenza sostanzialmente solo su una cosa : se i parcheggi vanno venduti ai privati o affidati all’ATC ( di cui il Comune è socio importante). Nodo di fatto già sciolto dai revisori dei conti che sconsigliano vivamente nuove vendite.
Quindi siamo arrivati ai nodi di oggi ( non quelli di ieri o l’altro ieri). Per il PD si tratta di prendere atto che fu fatta una scelta sbagliata quando accettò il dictat regionale che impose Mocio al posto di Carpinelli. La presa di posizione di Trappolino è un contributo serio in questo senso.
Per Concina si tratta di decidere se si vuol continuare con i rapporti strani con l’area dell’ex sindaco o confrontarsi con il PD ed il centro sinistra alla luce del sole.
A Mocio spetterebbe un atto di serietà: dimettersi. Dire le bugie è peggio di sbagliare.
BERSANI : tra PD e PMI un patto economico sociale
intervista al Sole 24 Ore
http://www.bersanisegretario.it/allegatidef/bersani_sole24ore_0610111157.pdf
Un Pd popolare in chiave moderna
"Il mio sarà un partito popolare in chiave moderna. Dobbiamo rivolgerci ai lavoratori, alla piccola impresa, alle famiglie, alle nuove generazioni. E per dare concretezza a questo approccio dobbiamo essere radicati e presenti laddove questo popolo vive. C'è un pezzo d'Italia che è totalmente fuori dalla comunicazione. Dobbiamo arrivare anche a questa gente. Non è facile perché oggi c'è un nesso pericoloso tra questione democratica e questione socio-economica".http://www.bersanisegretario.it/allegatidef/bersani_sole24ore_0610111157.pdf
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giovedì 1 ottobre 2009
NOTA MOZIONE MARINO REGIONALE su ESTERNAZIONI BORRELLO
Lo straordinario successo conseguito dalla mozione Marino in Umbria ed, in particolare, nel comprensorio orvietano, è frutto dell’appassionato e proficuo lavoro di tutti coloro che hanno aderito a tale progetto politico. Rinnovando le congratulazioni per il risultato ottenuto, considero necessaria una puntualizzazione.
In merito alle dichiarazioni di Paolo Borrello, uscite nei giorni scorsi sulla stampa on-line locale, la mozione Marino prende le distanze. Le esternazioni che hanno coinvolto molti dirigenti locali e le interpretazioni della dinamica congressuale orvietana sono infatti da considerare a titolo prettamente personale.
Valerio Marinelli
Andrea Scopetti
Emanuele Pica
In merito alle dichiarazioni di Paolo Borrello, uscite nei giorni scorsi sulla stampa on-line locale, la mozione Marino prende le distanze. Le esternazioni che hanno coinvolto molti dirigenti locali e le interpretazioni della dinamica congressuale orvietana sono infatti da considerare a titolo prettamente personale.
Valerio Marinelli
Andrea Scopetti
Emanuele Pica
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