mercoledì 22 dicembre 2010
IL GIOCO DELLE TRE CARTE 2 - di Valentino Filippetti
Il 20 dicembre ho assistito, dopo tanto tempo, al Consiglio Comunale d' Orvieto. Dopo diverse ore di audizione me ne sono andato con una certezza, la politica non abita piu’ lì.
Si doveva discutere un argomento forte, la proposta del consigliere Leoni (PdL) di istituire un Parco nella zona dei calanchi che ospita la discarica. Questo progetto è condiviso anche da altri consiglieri di orientamento politico diverso, come Germani(PD).
L’intenzione dei proponenti è di chiamare il consiglio ad esprimersi in modo chiaro su quale dovrà essere la politica dei rifiuti nei prossimi anni.
Da una parte la maggioranza del centro destra sostiene la necessità di riempire un nuovo calanco, proseguendo sulla strada intrapresa anni fa e dall’altra Leoni, Germani e altri consiglieri propongono un cambiamento radicale, che punti sulla raccolta differenziata e sul riciclo.
Mantenere la prima opzione vuol dire proseguire nell’occupazione del territorio , continuando a considerare la questioni rifiuti come un’attività economica da cui ricavare profitti piuttosto che un servizio.
Imboccare la seconda strada vuol dire realizzare, innanzi tutto, una rivoluzione culturale che spinga i cittadini a fare i conti con uno sviluppo consumistico che ci stà portando verso la catastrofe.
( E come sappiamo che la gestione delle catastrofi ormai è diventata una delle attività piu’ redditizie e speculative).
Il consiglio è stato preceduto da mesi di dibattito, da diversi rinvii e da un’intensa campagna del “Comitato Rifiuti Zero” che hanno rotto la tradizionale apatia degli Orvietani.
Il Sindaco Concina si è presentato con un “Documentino” acqua e sapone che non diceva niente.
Infatti il dibattito lo ha ignorato completamente e si è polarizzato su terzo calanco si, terzo calanco no. In mezzo il solito terreno paludoso in cui si muovono, apparentemente a loro agio, i trasfughi del centro sinistra e il neo segretario del PD. La loro parola d’ordine è rinvio ed alla fine la spuntano, anche perché il Sindaco fremeva perchè doveva andare a sentire Sgarbi ( che come si sa è piu’ importanre della discarica ). Ma c’è stato il tempo per un altro siparietto, messo su da Olimpieri che ha chiesto lumi su chi sia il capogruppo del PD. Prontamente il Presidente del Consiglio Frizza ha dato la linea : se non decide nessuno entro il 27 deciderà lui, per il piu’ anziano del PD.
Non cercate cosa ha detto Mariani. Era già sfinito per aver chiesto la sospensione del dibattito sulla discarica.
Politica Zero.
Del resto così doveva finire. Il lungo ciclo politico del Faraone era nato con la discarica. Il mio voto contro il primo conferimento extra bacino fu inutile sul finire degli anni ottanta. Come l'impegno serio e ricgoroso di Conticelli negli anni novanta. Era il tempo della giunta degli uomini e delle donne, quella che mise fine alla politica, dove contavano le “persone”. Il "maggioritario" con uomini soli al comando senza piu' controlli ne politici ne amministrativi.
Quel ciclo si è consolidato e poi è affondato con la discarica. Oggi la destra cerca di raccogliere il testimone e rinverdire i fasti della “monnezza”.
Non ha capito che un’epoca e finita, che il mondo è andato avanti e soprattutto che gli Orvietani hanno scoperto il giochino.
Sarà dura superare questo momento, perchè c’è una parte rilevante della Destra che è impegnata a dare continuità all’azione di governo della giunta Mocio ( e non solo per pagare le cambiali elettorali) mentre una parte dell’opposizione è impegnata a sostenere Concina.
Intanto i problemi marciscono.
Il PD sembra non aver ascoltato il campanello di allarme suonato da Germani con le dimissioni.
Ma presto sentirà le campane, se non cambia strada.
La cittadinanza è stanca dei giochi delle tre carte.
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Tony Concina
martedì 7 dicembre 2010
DIREZIONE PD ORVIETO: MARIANI TENTA DI RECUPERARE, FA PROPRIO IL DOCUMENTO DELL'OPPOSIZIONE INTERNA
Riunione scoppiettante della Direzione Comunale del PD di Orvieto che si ritrovava per la seconda volta, dopo il congresso, per la definizione degli organismi interni.
La prima riunione si era chiusa con un nulla di fatto perchè l'opposizione interna l'aveva disertata, accusando Mariani di non rispettare gli accordi pre congressuali. Ieri sera invece questa componente, che rappresenta il 50 % del partito, si è presentata con un documento firmato da Fausto Galanello, Giuseppe Germani, Cristina Croce, Andrea Scopetti, Umberto Fringuello, Massimo Stella, Donatella Belcapo, Maio Tiberi e Adriana Bugnini.
Il documento è una sintesi di quello approvato nei congressi dei circoli ma sottolinea l'esigenza di una maggiore autonomia del PD di Orvieto sia dal sistema politico-istituzionale nazionale che regionale.
Questa proposta ha raccolto un ampio consenso, tranne Marino Capoccia, Lamberto Custodi e Pierpaolo Vincenzi , che hanno espresso una forte contrarietà.
Come previsto sia la segreteria che la direzione è stata composta solo da sostenitori di Mariani, mentre l'opposizione interna è rimasta volutamente fuori.
Di seguito il testo integrale del documento :
Costruire la fiducia nel futuro, lavorare per rilanciare lo sviluppo e la qualità della vita a Orvieto.
Il lavoro che Bersani ed il Pd stanno facendo indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che i cittadini italiani vogliono ma ancora non hanno, la forza capace di unire il paese e il suo territorio e di portarlo nel XXI secolo, energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza.
A livello nazionale e cittadino, oggi, ci troviamo in una situazione molto difficile sia dal punto di vista amministrativo che di indirizzo politico. La società attuale, e con essa quella orvietana, è caratterizzata da un immobilismo disarmante, da una totale incapacità ad affrontare i problemi reali della società e da una dannosa mentalità distruttiva concentrata soltanto a disconoscere l’operato dei precedenti governi. La precarietà estremizzata, la disoccupazione e l’inoccupazione, il buio attraverso il quale i giovani intraprendono il loro percorso di studi e la totale mancanza di assistenza da parte delle Istituzioni descrivono il nostro Paese e le nostre città che, dati alla mano, scendono mese dopo mese nelle graduatorie europee. La qualità della vita, fiore all’occhiello dell’Italia di fine novecento, oggi risente pesantemente delle scelte politiche ed economiche della classe dirigente: stato sociale maltrattato, sanità ed istruzione in degrado, politiche ambientali inesistenti, crisi della vita urbana, privatizzazione del volontariato; la coesione sociale che ha tenuto unita la società italiana è a rischio. Il Partito Democratico deve farsi avanti e accollarsi la responsabilità della ricostruzione, deve comunicare ai cittadini che è finalmente un partito maturo e capace di guidare il pese e questa città verso giorni migliori.
La nostra città sta diventando la periferia di se stessa.
Il ruolo naturale di punto baricentrico dell’Italia centro-occidentale va via via indebolendosi a favore di un allontanamento sempre più marcato dalle dinamiche economiche, politiche e socio-culturali di questo territorio, ricco di identità, storia e occasioni da saper cogliere per far fronte alle nuove sfide federaliste e commerciali.
Emerge sempre di piu’ un aggregato conservatore e passivo, caratterizzato da rendite e privilegi che, inseguendo continue mediazioni al ribasso, di fatto, si oppone a ogni cambiamento in campo economico, sociale, civile e persino religioso.
Queste forze si sono sviluppate anche grazie alla mancanza di obiettivi e modelli di sviluppo che la politica non è stata in grado di indicare e ad una gestione amministrativa incapace di invertire la rotta che ha portato verso la crisi dell’intero sistema.
L’impianto economico basato sullo sviluppo sproporzionato dell’edilizia privata e delle attività estrattive, che ha caratterizzato il nostro territorio, ha favorito il formarsi di veri e propri monopoli in settori decisivi come quello viti-vinicolo, la progressiva deresponsabilizzazione delle banche per le sorti dell’economia locale e la svendita di tutti gli asset forti della città a partire dalla discarica.
Con questa eredità e su questa realtà siamo chiamati a rimetterci al lavoro, capaci della necessaria autocritica ma al tempo stesso coscienti di rappresentare una parte decisiva della società orvietana.
La parola d’ordine è AUTONOMIA.
Autonomia dal sistema politico istituzionale nazionale e regionale.
Autonomia dai condizionamenti delle forze economiche e dei “poteri forti”.
Ciò non significa solitudine ma, anzi, ricerca di nuova credibilità, autorevolezza e capacità di progettazione, di proposta e di innovazione attraverso le quali promuovere un’azione dal basso che inverta i processi decisionali di natura centralistica e ci permetta di tornare a confrontarci, con forza e dignità, in ambito provinciale, regionale e nazionale.
Il fallimento dell’attuale Giunta non è soltanto amministrativo, sancito dalle difficoltà a chiudere il bilancio 2010, ma soprattutto politico – istituzionale.
Le evidenti perplessità con cui abbiamo giudicato il tentativo del governo cittadino di chiudere il bilancio di quest’anno, viste le premesse quantomeno azzardate con le quali si è arrivati ad oggi (parcheggi, mattatoio, ex Piave …), ci spingono ad affermare che è giunto il momento di cambiare rotta, attraverso le dimissioni di questa amministrazione, per dare ad orvieto una guida rinnovata ed adeguata.
Per aprire un nuovo corso ci vuole un partito democratico diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, pieno di ambiguità e doppiezze.
Nel congresso che si è svolto recentemente abbiamo approvato una proposta basata su tre principi guida:
- Unità
- Responsabilità
- Condivisione
Partendo da queste basi si può ricostruire la ricandidatura del partito democratico alla guida della città.
Per rendere credibile quest'obbiettivo abbiamo detto di lavorare in tre direzioni:
1.
Costruire un partito aperto alle forze migliori della città.
2.
Costruire una piattaforma politico programmatica capace di risanare i conti e creare nuove occasioni di sviluppo.
3.
Ricostruire un rapporto serio e costruttivo con la parte sana e produttiva della città e con le forze politiche del nuovo Ulivo.
Per questo riteniamo non più rinviabile l’apertura del Partito Democratico alle migliori qualità umane ed intellettuali che questa città esprime. Di pari passo proponiamo una conferenza programmatica, da tenersi entro il mese di gennaio, preparata con un confronto nei nostri circoli, con le altre forze del centro sinistra e con le forze economiche e sociali, che permetta al PD di arrivare a fare delle scelte chiare e decise e mettere in campo proposte credibili per la nuova sfida al governo della Città.
Orvieto, 6 dicembre 2010
La prima riunione si era chiusa con un nulla di fatto perchè l'opposizione interna l'aveva disertata, accusando Mariani di non rispettare gli accordi pre congressuali. Ieri sera invece questa componente, che rappresenta il 50 % del partito, si è presentata con un documento firmato da Fausto Galanello, Giuseppe Germani, Cristina Croce, Andrea Scopetti, Umberto Fringuello, Massimo Stella, Donatella Belcapo, Maio Tiberi e Adriana Bugnini.
Il documento è una sintesi di quello approvato nei congressi dei circoli ma sottolinea l'esigenza di una maggiore autonomia del PD di Orvieto sia dal sistema politico-istituzionale nazionale che regionale.
Questa proposta ha raccolto un ampio consenso, tranne Marino Capoccia, Lamberto Custodi e Pierpaolo Vincenzi , che hanno espresso una forte contrarietà.
Come previsto sia la segreteria che la direzione è stata composta solo da sostenitori di Mariani, mentre l'opposizione interna è rimasta volutamente fuori.
Di seguito il testo integrale del documento :
Costruire la fiducia nel futuro, lavorare per rilanciare lo sviluppo e la qualità della vita a Orvieto.
Il lavoro che Bersani ed il Pd stanno facendo indica ciò che possiamo diventare: il grande partito riformista che i cittadini italiani vogliono ma ancora non hanno, la forza capace di unire il paese e il suo territorio e di portarlo nel XXI secolo, energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di una nuova cittadinanza.
A livello nazionale e cittadino, oggi, ci troviamo in una situazione molto difficile sia dal punto di vista amministrativo che di indirizzo politico. La società attuale, e con essa quella orvietana, è caratterizzata da un immobilismo disarmante, da una totale incapacità ad affrontare i problemi reali della società e da una dannosa mentalità distruttiva concentrata soltanto a disconoscere l’operato dei precedenti governi. La precarietà estremizzata, la disoccupazione e l’inoccupazione, il buio attraverso il quale i giovani intraprendono il loro percorso di studi e la totale mancanza di assistenza da parte delle Istituzioni descrivono il nostro Paese e le nostre città che, dati alla mano, scendono mese dopo mese nelle graduatorie europee. La qualità della vita, fiore all’occhiello dell’Italia di fine novecento, oggi risente pesantemente delle scelte politiche ed economiche della classe dirigente: stato sociale maltrattato, sanità ed istruzione in degrado, politiche ambientali inesistenti, crisi della vita urbana, privatizzazione del volontariato; la coesione sociale che ha tenuto unita la società italiana è a rischio. Il Partito Democratico deve farsi avanti e accollarsi la responsabilità della ricostruzione, deve comunicare ai cittadini che è finalmente un partito maturo e capace di guidare il pese e questa città verso giorni migliori.
La nostra città sta diventando la periferia di se stessa.
Il ruolo naturale di punto baricentrico dell’Italia centro-occidentale va via via indebolendosi a favore di un allontanamento sempre più marcato dalle dinamiche economiche, politiche e socio-culturali di questo territorio, ricco di identità, storia e occasioni da saper cogliere per far fronte alle nuove sfide federaliste e commerciali.
Emerge sempre di piu’ un aggregato conservatore e passivo, caratterizzato da rendite e privilegi che, inseguendo continue mediazioni al ribasso, di fatto, si oppone a ogni cambiamento in campo economico, sociale, civile e persino religioso.
Queste forze si sono sviluppate anche grazie alla mancanza di obiettivi e modelli di sviluppo che la politica non è stata in grado di indicare e ad una gestione amministrativa incapace di invertire la rotta che ha portato verso la crisi dell’intero sistema.
L’impianto economico basato sullo sviluppo sproporzionato dell’edilizia privata e delle attività estrattive, che ha caratterizzato il nostro territorio, ha favorito il formarsi di veri e propri monopoli in settori decisivi come quello viti-vinicolo, la progressiva deresponsabilizzazione delle banche per le sorti dell’economia locale e la svendita di tutti gli asset forti della città a partire dalla discarica.
Con questa eredità e su questa realtà siamo chiamati a rimetterci al lavoro, capaci della necessaria autocritica ma al tempo stesso coscienti di rappresentare una parte decisiva della società orvietana.
La parola d’ordine è AUTONOMIA.
Autonomia dal sistema politico istituzionale nazionale e regionale.
Autonomia dai condizionamenti delle forze economiche e dei “poteri forti”.
Ciò non significa solitudine ma, anzi, ricerca di nuova credibilità, autorevolezza e capacità di progettazione, di proposta e di innovazione attraverso le quali promuovere un’azione dal basso che inverta i processi decisionali di natura centralistica e ci permetta di tornare a confrontarci, con forza e dignità, in ambito provinciale, regionale e nazionale.
Il fallimento dell’attuale Giunta non è soltanto amministrativo, sancito dalle difficoltà a chiudere il bilancio 2010, ma soprattutto politico – istituzionale.
Le evidenti perplessità con cui abbiamo giudicato il tentativo del governo cittadino di chiudere il bilancio di quest’anno, viste le premesse quantomeno azzardate con le quali si è arrivati ad oggi (parcheggi, mattatoio, ex Piave …), ci spingono ad affermare che è giunto il momento di cambiare rotta, attraverso le dimissioni di questa amministrazione, per dare ad orvieto una guida rinnovata ed adeguata.
Per aprire un nuovo corso ci vuole un partito democratico diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, pieno di ambiguità e doppiezze.
Nel congresso che si è svolto recentemente abbiamo approvato una proposta basata su tre principi guida:
- Unità
- Responsabilità
- Condivisione
Partendo da queste basi si può ricostruire la ricandidatura del partito democratico alla guida della città.
Per rendere credibile quest'obbiettivo abbiamo detto di lavorare in tre direzioni:
1.
Costruire un partito aperto alle forze migliori della città.
2.
Costruire una piattaforma politico programmatica capace di risanare i conti e creare nuove occasioni di sviluppo.
3.
Ricostruire un rapporto serio e costruttivo con la parte sana e produttiva della città e con le forze politiche del nuovo Ulivo.
Per questo riteniamo non più rinviabile l’apertura del Partito Democratico alle migliori qualità umane ed intellettuali che questa città esprime. Di pari passo proponiamo una conferenza programmatica, da tenersi entro il mese di gennaio, preparata con un confronto nei nostri circoli, con le altre forze del centro sinistra e con le forze economiche e sociali, che permetta al PD di arrivare a fare delle scelte chiare e decise e mettere in campo proposte credibili per la nuova sfida al governo della Città.
Orvieto, 6 dicembre 2010
mercoledì 8 settembre 2010
Per un nuovo modello di sviluppo:una proposta per le tlc - di Luigi Agostini e Alessandro Genovesi
“Quando un paese grande ma povero quale era la Russia, si trovò a dover affrontare la sfida per entrare tra le 7-8 potenze del novecento – una sfida produttiva, sociale e ancor prima politica – scelse con lungimiranza di legare il proprio destino alla più amplia opera di infrastrutturazione delle campagne mai vista prima: l’elettrificazione rappresentò la base del successo pluridecennale del comunismo”. Così è iniziata la ormai “storica” lezione tenuta all’università di Bombay nel 2001 da William N. Joy (comunemente conosciuto come Bill Joy), il "Thomas Edison di Internet" , democratico “moderato” scelto come esperto dall’amministrazione Clinton.
“Sulla base di tecnologie moderne ed avanzate – continua Joy, citando integralmente il discorso di Lenin al Soviet di Pietroburgo - l'elettrificazione (...) fornirà un collegamento tra città e campagna, porrà fine alla divisione tra città e campagna, renderà possibile elevare il livello della cultura in campagna e di superare, anche negli angoli più remoti della terra, l'arretratezza, l'ignoranza, la povertà, le malattie e la barbarie. Oggi la costruzione di reti telematiche di nuova generazione (NGN) rappresenta la novella elettrificazione: crea ,politicamente,blocchi di interessi progressisti, attiva innovazione diffusa, valorizza le professionalità scientifiche e organizzative, genera partecipazione “creativa” in grado di contaminare l’intero apparato produttivo aumentandone il valore anche indipendentemente dalle condizioni geografiche, costruisce la base materiale di una nuova dimensione della cittadinanza e dei diritti globali. Un ecosistema pervaso dalle reti NGN è un sistema aperto, interattivo, multidirezionale, che mette in moto mobilità sociale e una più avanzata divisione del lavoro. Chi ne rimarrà fuori sarà costretto ad inseguire per i prossimi decenni”.
Inoltre,nella attuale crisi da sovrapproduzione,permette di impostare il tema del nuovo modello di sviluppo.
Le reti di Telecomunicazione possono rappresentare infatti la base per un grande progetto di riconversione dei nostri sistemi che la crisi attuale ha dimostrato “obsoleti”, aggregando intorno ad un grande progetto di modernizzazione forze economiche e sociali, interessi e intelligenze progressiste oggi disperse e prive di interlocuzione.
Il dibattito in Europa e nei paesi più avanzati negli ultimi anni, del resto, verte proprio sulle capacità dei sistemi-paese (e in primo luogo delle grandi aziende di tlc) di dotarsi di una nuova rete ad alta velocità nel minor tempo possibile, garantendo da un lato concorrenza sui nuovi mercati, dall’altro investimenti ed interventi atti ad accelerare tanto la costituzione dell’offerta (le nuove reti appunto) quanto di una domanda diffusa, facilitando cosi lo sviluppo di un terziario avanzato fatto di contenuti, servizi amministrativi, sociali e per la produzione che integrerà sempre di più funzioni private e pubbliche (PP.AA., telesanità, telemobilità, interventi ambientali, formazione a distanza, e-commerce, ecc.).La riforma e l’efficienza degli apparati pubblici,l’esperienza insegna,la si fa in gran parte per questa via,e non attraverso le ridicole campagne di Brunetta. Le stesse “manovre anticrisi” varate nel 2010 dai governi inglese, francese, tedesco e spagnolo non solo non hanno ridotto gli investimenti nel settore, ma li hanno potenziati proprio come risposta anticiclica alle difficoltà del momento .
Solo in Italia il confronto politico e sindacale sull’aumento o meno delle capacità produttive delle imprese non si sviluppa su questo terreno, ma si incentra quasi esclusivamente sul contributo che può dare il fattore lavoro (da ultimo la stessa vicenda Fiat si può leggere anche con questa lente), quando invece tutti i principali studi dell’OCSE, della Banca Centrale Europea e del FMI ricordano che “le potenzialità dell’innovazione tecnologica, l’aumento di conoscenza diffusa, la stessa velocità e potenza trasmissiva delle nuove reti siano di gran lunga fattori più incidenti ”.
Discutere e decidere sul futuro delle reti di TLC è quindi un tutt’uno con la necessità che avvenga “un’esplosione di innovazione”. E’ una delle principali sfide, anche culturali e politiche, che abbiamo di fronte. E occorre prima di tutto che il tema acquisti nel nostro paese la centralità che merita, affrontando nodi mai veramente sciolti negli ultimi anni. In Italia essi si possono riassumere, fondamentalmente, in quattro questioni, tra loro legate: come costruire,con un determinante intervento pubblico, la NGN italiana in termini remunerativi per chi vi investe; come alimentare una domanda di nuovi servizi che ci “educhi” all’innovazione; come rilanciare una “filiera” dell’ICT per non essere meri consumatori di produzioni straniere; come far uscire Telecom Italia – la principale azienda del settore e l’unica dotata di un infrastruttura propria – dallo stallo in cui è.
Senza dare una soluzione contestuale a queste questioni, il rischio è che continui l’attuale fase di paralisi del settore delle TLC e dell’ICT e che le diverse proposte in campo (sia di Telecom da un lato, sia degli altri operatori dall’altro) si riducano a mere tattiche di contenimento e di “sbarramento” degli uni verso gli altri,di una vera e propria neutralizzazione reciproca. (al riguardo si veda anche l’ultima Relazione Annuale dell’Autorità per le Comunicazioni - AGCOM).
Occorre decidere non se, ma come, rispondere a queste domande:
1) Quali risorse , quali investimenti per creare la rete di nuova generazione (evoluzione naturale dell’attuale rete in rame e da integrare fortemente con le reti mobili di ultima generazione), in un momento di scarsità delle risorse pubbliche (quelle poche stanziate sono state già riassorbite in altri capitoli di spesa), di difficoltà della più grande azienda privata (Telecom Italia) e dei suoi principali concorrenti? All’interno di quale quadro regolatorio tenere insieme un determinante sostegno pubblico, remunerazione degli investimenti, trasparenza e concorrenza, valorizzando le risorse di tutti? La direzione politica nazionale deve prendere atto che oggi le aziende delle TLC e dell’ICT in Italia non sono in grado di sviluppare da sole quella massa di investimenti necessari a dotare il paese di una delle infrastrutture strategiche per il futuro e non può lasciare alla pur lodevole iniziative degli enti locali una partita così importante. Inoltre le attuali rete in rame stanno giungendo ad un livello prossimo alla saturazione.
2) Quale percorso possibile si può mettere in campo già nei prossimi mesi per generare una iniziale domanda diffusa per la NGN, che ci educhi anche all’innovazione, a nuovi paradigmi e modi di fare e di essere cittadini, produttori e consumatori?
3) Come si può (e si deve) tenere insieme un piano per la NGN, la costituzione di una domanda iniziale diffusa e il rilancio di un’industria italiana dell’ICT, oggi sempre più schiacciata da economie di scala ridotte e un mercato dell’innovazione asfittico?
4) Come superare l’empasse debitorio e proprietario in Telecom Italia, che da tempo condanna la principale azienda di TLC a non proporre un piano industriale in grado di rilanciare il mercato?
Ci piaccia o no infatti, con riferimento a questo ultimo punto, a più di un decennio di distanza, dobbiamo dichiarare che la privatizzazione di Telecom Italia, per come si è realizzata, è stata un fallimento. Un’azienda con oltre 120 mila dipendenti, una capacità di investimento superiore a 10 miliardi di euro l’anno, senza debiti e con una forte concentrazione di competenze è oggi un’azienda profondamente in crisi, con meno di 56 mila lavoratori, priva di una strategia in grado di risolvere il problema dell’eccessivo debito e degli attuali assetti proprietari, sparita quasi completamente dai mercati esteri emergenti.
Soprattutto è un’azienda non più capace di essere “il motore dell’innovazione”, che blocca l’intero sistema e ne paralizza le scelte strategiche (e non migliore è il panorama nel resto del settore: le aziende Telco più o meno forti affacciatesi sul mercato italiano negli ultimi anni si sono progressivamente svuotate di professionalità ed il loro finire tutte in mani straniere ci consegna un saldo negativo, per gli interessi del Paese).
Per questo oggi più di ieri il futuro delle TLC è indissolubilmente legato a quello di Telecom Italia. E il futuro di Telecom passa dal risolvere la principale contraddizione che tutti abbiamo di fronte: da un lato la rete Telecom rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese, necessaria per fare la rete di nuova generazione (NGN) con la graduale sostituzione di rame e centrali e per accelerare la migrazione dei clienti sulle nuove tecnologie. Un “bene comune” nell’accezione più ampia. Ma dall’altro siamo tutti ben consapevoli che una valorizzazione dell’attuale rete Telecom, fuori dal perimetro dell’azienda, rischia di impattare con il valore stesso dell’azienda, la sua governance, i suoi fatturati e farebbe venir meno quell’integrazione verticale tra settori (a partire dall’informatica e dai costumer) che - oltre a contraccolpi occupazionali - priverebbe Telecom della possibilità di riposizionarsi su servizi personalizzati, sull’offerta di soluzioni informatiche e ICT convergenti, ecc. Pensare – anche come management di Telecom Italia – di sciogliere questo nodo al di fuori di una più ampia discussione sul futuro delle TLC e dell’ICT nel Paese è quindi impossibile.
COSTRUIRE L’OFFERTA: UN PIANO PER LA NGN ITALIANA
Partiamo, allora, da quello che – piaccia o no – non si può fare (per motivi industriali, tecnologici, economici, politici e sociali). Non si può espropriare Telecom della sua rete. Non si può concepire la rete di nuova generazione come esclusivamente subordinata all’evolversi del mercato televisivo, in quanto la rete è volano di più settori, più integrazioni, più convergenze (non si può cioè pensare al futuro della rete Telecom come risposta “truccata” alla sfida Mediaset-Rai-SKY o come mero strumento subordinato alle dinamiche del mercato pubblicitario on line). Non si può pensare alla NGN come una rete esclusivamente tutta in fibra. Non si può realmente credere che l’eventuale nuova società costituita da Vodafone, Fastweb, Wind e Tiscali senza finanziamenti pubblici e senza un’integrazione con Telecom Italia, si possa cimentare in una competizione sull’infrastruttura oltre alcune e specifiche aree metropolitane a forte valore di mercato.
Quindi passiamo a quello che non possiamo permetterci che accada. Non si può accettare il calo degli investimenti e dei ricavi in un settore strategico, motore principale dell’economia della conoscenza. Non si può accettare la paralisi del settore che sta trascinando in un baratro la già non eccelsa realtà dell’informatica italiana (o meglio di quello che vi rimane). Non possiamo perdere tempo prezioso rispetto ai paesi concorrenti dell’Italia che già sono avanti nella costruzione della NGN e che divengono sempre più competitivi e attrattivi di investimenti (soprattutto quando la crisi internazionale sarà finita).Il tempo sta’ scadendo,se non scaduto. Occorre un vero e proprio “Patto per il futuro del Paese”, un “Patto per l’ICT” che coinvolga tutti, ognuno per le proprie responsabilità e poteri. Il Paese deve darsi una scadenza (un vero e proprio “switch off” per la banda ultra larga): entro il 2015 l’ 80% della popolazione italiana e delle imprese deve essere dotato di banda ultra larga e il restante 20% di banda larga.
E sarebbe assai utile – oltre che giusto – che di questa bandiera si impossessassero le forze del centro sinistra, costruendovi intorno alleanze sociali e di interessi, aprendo la discussione e chiamando a raccolta le tante intelligenze, professionalità, imprese e lavoratori sicuramente interessati ad una forte proposta di innovazione industriale.
Solo una “scelta politica” può infatti creare le condizioni per una “dotazione di risorse pubbliche e private” straordinarie, da agevolare con interventi regolatori e con scelte di priorità chiare.
Il Governo e Agcom, per rendere remunerativi gli investimenti sulle reti di nuova generazione, dovrebbe stabilire il prima possibile un percorso di liberalizzazione graduale delle tariffe all’ingrosso per la connessione alla NGN. O in alternativa riconoscere un chiaro sistema di “risk premium” per gli investimenti, definendo i prezzi minimi regolamentati per l’accesso alle reti di nuova generazione, indipendentemente dalle modalità di realizzazione (se in consorzio, se in competizione infrastrutturale, ecc.). Agcom deve cioè definire presto le tabelle di remunerazione minima di passaggio per tutte le infrastrutture di nuova generazione che vanno dal primo stadio di centrale (dorsale) fino alle centrali periferiche, agli armadietti e alla singola abitazione/azienda (tariffe minime per fiber to building, tariffe minime per fiber to home). Così che tutti possano pianificare gli investimenti e soprattutto, a fronte di una spesa e un rendimento minimo correlato, ricorrere a strumenti finanziari, creditizi e azionari per reperire risorse.
Un vincolo/cofinanziamento pubblico dovrebbe inoltre garantire da subito una “tariffa a prezzo simbolico/franchigia” a tutti i servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, per le reti civiche, per i soggetti del privato sociale (anche al fine di agevolare la costruzione di una domanda diffusa, così come già si va sperimentando con successo in Olanda e Germania). Tale principio di liberalizzazione dovrebbe essere riconosciuto a tutti i soggetti pubblici o privati che siano titolari della nuova rete, a condizione, infine, che si facciano garanti anche proquota di estendere la rete alle aree identificate da AGCOM come aree non di interesse di mercato .
Insomma intervento pubblico diretto (in partecipazione) o indiretto (messa a bando) senza tabù ideologici, liberalizzazione graduale in cambio della riduzione del digital divide, remunerazione degli investimenti privati con prezzi a liberalizzazione graduale (all’inizio più alti) a fronte di uno stimolo generalizzato all’aumento della domanda che faccia diminuire nel tempo le tariffe all’ingrosso. Da subito si potrebbero “scongelare” le risorse già disponibili (800 milioni presso il CIPE, 264 presso Infratel, 188 milioni a disposizioni della aree rurali) e si potrebbero coordinare i piani e le risorse regionali messe in campo (per altri 2 miliardi già stanziati).
Così come vanno stabiliti (in sede governativa e di AGCOM) meccanismi per far contribuire alla manutenzione/implementazioni delle reti i diversi produttori di contenuti/pubblicità che oggi, con l’aumento della domanda (peer to peer, on demand, motori di ricerca, ecc.) stanno portando alla saturazione della rete, senza però contribuire direttamente o indirettamente al suo potenziamento. Se cioè da un lato occorre che le aziende di TLC per reperire risorse devono assolutamente differenziare offerte e tecnologie, dall’altro occorre definire modalità di compartecipazione alla manutenzione/implementazione delle reti da parte di coloro che godono (trasferendo spesso valore all’estero) della connettività, non escludendo in una prima fase (con attenzione e con ponderazione, differenziando tra servizi di lusso, servizi a consumo generalizzato, servizi di utilità sociale) prezzi che permettano la condivisione del rischio tra investitori e utilizzatori.
Ovviamente la NGN non dovrà per forza essere completamente in fibra in tutte le sue parti ne inizialmente in tutti i territori: la nuova rete sarà inevitabilmente integrata da un potenziamento delle capacità trasmissive delle reti mobili grazie all’utilizzo di maggiore ampiezza di banda e agli apparati di ultima generazione. La NGN sarà nei fatti una rete basata sulla convergenza di più reti trasmissive (del resto l’omogeneizzazione del protocollo IP segna già questa incontrovertibile direzione di marcia) anche perché sempre più l’utilizzo della banda ad alta velocità – a detta dei principali esperti – sarà every where e con utenti nomadi.
AGGREGARE LA DOMANDA: UNO SFORZO COLLETTIVO
Ma l’eventuale offerta di per sé non basta. Il “Patto per l’innovazione del Paese”, va declinato anche dal lato della domanda. Oggi essa è insufficiente per le capacità della NGN e la costante, ma lenta, diffusione della tv on demand non basta. Occorre sviluppare una strategia di aggregazione generalizzata della possibile “domanda”: pubbliche amministrazioni, enti locali, sistemi sanitari, bancari, ecc. devono essere coordinati da una regia pubblica per l’aggregazione delle possibili domande, al fine di rendere profittevoli già nel breve periodo gli investimenti degli operatori ICT. Serve anche qui una vera e propria “cabina di regia”, un “Comitato nazionale per lo sviluppo della domanda di nuovi servizi” che coordini in maniera efficiente quanto già esiste (o è in programma, a partire da quanto annunciato dal Ministero per la Funzione Pubblica e l’Innovazione e dal Ministero per le Attività produttive) e dia un impulso deciso a chi “è in ritardo” .
Uno switch off parallelo, se vogliamo semplificare, che già di per sé rappresenterebbe una rivoluzione culturale per il paese. Tale “Comitato” dovrebbe assorbire e sfoltire la miriade di gruppi di lavoro, comitatini, tavoli ministeriali, facendosi carico anche di coordinare tutte le azioni oggi disperse (pubbliche e private) a sostegno di: maggior penetrazione dei PC nelle famiglie italiane; alfabetizzazione informatica; diffusione della moneta elettronica come ordinaria modalità di pagamento di beni e servizi.
Infine accanto alle autostrade vanno pensate le “automobili made in Italy”. La scomposizione prima e la crisi poi delle grandi aziende informatiche (Olivetti, Bull, Getronics – oggi Agile/Eutelia - Accenture, Ibm) hanno portato alla crisi di un comparto strategico, fondamentale per integrare le strategie di convergenza e sviluppo delle aziende industriali e di tlc. Per troppo tempo si è assimilata una visione delle imprese di ICT esclusivamente finalizzata alla erogazione e alla “manutenzione” di prodotti informatici, VAS e terminali esteri, facendo venire meno una strategia generale del sistema paese che - solo dalla costruzione di Poli tecnologici, informatici e di tlc - può ricominciare a perseguire una propria politica industriale per l’innovazione degli apparati produttivi. Occorre approfittare allora della riorganizzazione del settore per un grande progetto di politica industriale che tenga insieme tutta la ICT, avendo come interlocuzione l’intero mondo delle imprese: un grande piano per l’ICT italiano, in grado di valorizzare le professionalità presenti nelle diverse aziende oggi in crisi, rilanciando così anche una più generale politica per la ricerca applicata alle nuove soluzioni tecnologiche e organizzative. Non è una strategia diversa da quella per le TLC e la NGN, ma il suo naturale complemento, ritagliata sulle esigenze e specificità dei nostri sistemi sociali ed economici. Serve una proposta industriale per tutta la filiera: anche perché, altrimenti, la prospettiva anche occupazionale dell’attuale settore delle TLC sarà quella di un trascinamento verso il “basso”, più verso i call center che non verso la parte avanzata della ricerca e dello sviluppo IT. Senza un’industria dell’innovazione forte che accompagni la creazione delle reti di nuova generazione, che le renda “multi applicabile” per utilizzare un linguaggio caro agli informatici, rischiamo infatti il fallimento di ogni possibile modernizzazione dell’apparato produttivo, creando una “NGN” vuota o dove altri producono ciò che dovrà passare.
IL NODO TELECOM ITALIA
Infine va affrontato il nodo “Telecom”: la recente vertenza iniziata con oltre sette mila licenziamenti annunciati e poi conclusasi positivamente i primi giorni di Agosto con un’intesa tra azienda, sindacati e Governo (e molto rimane da fare nella “gestione concreta” dell’accordo) ha indicato una possibile direzione di marcia con uno dei più grandi progetti di riconversione professionale di figure tecniche e operaie (saranno almeno 4000 mila i lavoratori coinvolti) verso i nuovi servizi e le nuove tecnologie di comunicazione e di “digitalizzazione” degli ambienti umani (casa e impresa). Ma è stata, per quanto avanzata, una risposta difensiva, finalizzata a salvaguardare occupazione e possibilità di sviluppo. Quel che è mancato e manca è una risposta industriale e finanziaria (cioè un progetto a medio termine) che metta in sicurezza l’azienda, così da dare il suo fondamentale e necessario contributo al “Patto per il futuro dell’ICT”. La principale azienda del Paese (per numero di lavoratori, per professionalità possedute, per investimenti fatti e programmati) deve poter uscire dallo stallo in cui è e tornare ad essere “la lepre da inseguire”.
Occorre affrontare il tema del debito e di una ricapitalizzazione dell’azienda. Occorre sciogliere il nodo di Telefonica. In relazione alla situazione debitoria di Telecom, l’unica strada, facilitata anche dalla proposta di remunerazione delle nuove reti, non può che essere o una ricapitalizzazione da parte degli attuali soci o l’emissione di uno specifico bond a garanzia pluriennale (10-15 miliardi) tale da mettere l’azienda nelle condizioni, per i prossimi anni, di raddoppiare gli investimenti sul mercato domestico ed internazionale. Bond aperto a tutti i soggetti pubblici e privati che sarebbero garantiti oltre che dai notevoli flussi di cassa e dai beni patrimoniali anche dai ritorni dei nuovi investimenti sulla NGN. Lo stesso Bond potrebbe essere coperto pro-quota per quella parte destinata specificatamente alla costruzione della rete di nuova generazione.
Se lasciata libera di operare nel medio termine su aree a forte remunerazione, con patti chiari di medio periodo, diviene infatti meno importante e delicata la discussione sul ruolo di Telefonica o di un altro grande operatore straniero dalla forte vocazione industriale: quello che infatti dovrebbe contare per il sistema Paese (e per i lavoratori di Telecom) è evitare che una paralisi permanente dell’azienda la porti ad essere – prima che poi – una facile preda per chi non ha interesse ad investire in Italia.
In conclusione, il progetto tlc può qualificare una sinistra politica e sociale moderna, e rappresentare la bandiera di un nuovo modello di sviluppo. Per parafrasare lo stesso Lenin citato da Bill Joy, se il socialismo era simbolizzato, all’inizi del secolo scorso,dalla parola d’ordine di “soviet ed elettrificazione”, oggi un moderno socialismo non potrebbe essere definito meglio che dalla parola d’ordine “autogoverno e reti telematiche .”Per tutti.
Roma 4 settembre 2010
“Sulla base di tecnologie moderne ed avanzate – continua Joy, citando integralmente il discorso di Lenin al Soviet di Pietroburgo - l'elettrificazione (...) fornirà un collegamento tra città e campagna, porrà fine alla divisione tra città e campagna, renderà possibile elevare il livello della cultura in campagna e di superare, anche negli angoli più remoti della terra, l'arretratezza, l'ignoranza, la povertà, le malattie e la barbarie. Oggi la costruzione di reti telematiche di nuova generazione (NGN) rappresenta la novella elettrificazione: crea ,politicamente,blocchi di interessi progressisti, attiva innovazione diffusa, valorizza le professionalità scientifiche e organizzative, genera partecipazione “creativa” in grado di contaminare l’intero apparato produttivo aumentandone il valore anche indipendentemente dalle condizioni geografiche, costruisce la base materiale di una nuova dimensione della cittadinanza e dei diritti globali. Un ecosistema pervaso dalle reti NGN è un sistema aperto, interattivo, multidirezionale, che mette in moto mobilità sociale e una più avanzata divisione del lavoro. Chi ne rimarrà fuori sarà costretto ad inseguire per i prossimi decenni”.
Inoltre,nella attuale crisi da sovrapproduzione,permette di impostare il tema del nuovo modello di sviluppo.
Le reti di Telecomunicazione possono rappresentare infatti la base per un grande progetto di riconversione dei nostri sistemi che la crisi attuale ha dimostrato “obsoleti”, aggregando intorno ad un grande progetto di modernizzazione forze economiche e sociali, interessi e intelligenze progressiste oggi disperse e prive di interlocuzione.
Il dibattito in Europa e nei paesi più avanzati negli ultimi anni, del resto, verte proprio sulle capacità dei sistemi-paese (e in primo luogo delle grandi aziende di tlc) di dotarsi di una nuova rete ad alta velocità nel minor tempo possibile, garantendo da un lato concorrenza sui nuovi mercati, dall’altro investimenti ed interventi atti ad accelerare tanto la costituzione dell’offerta (le nuove reti appunto) quanto di una domanda diffusa, facilitando cosi lo sviluppo di un terziario avanzato fatto di contenuti, servizi amministrativi, sociali e per la produzione che integrerà sempre di più funzioni private e pubbliche (PP.AA., telesanità, telemobilità, interventi ambientali, formazione a distanza, e-commerce, ecc.).La riforma e l’efficienza degli apparati pubblici,l’esperienza insegna,la si fa in gran parte per questa via,e non attraverso le ridicole campagne di Brunetta. Le stesse “manovre anticrisi” varate nel 2010 dai governi inglese, francese, tedesco e spagnolo non solo non hanno ridotto gli investimenti nel settore, ma li hanno potenziati proprio come risposta anticiclica alle difficoltà del momento .
Solo in Italia il confronto politico e sindacale sull’aumento o meno delle capacità produttive delle imprese non si sviluppa su questo terreno, ma si incentra quasi esclusivamente sul contributo che può dare il fattore lavoro (da ultimo la stessa vicenda Fiat si può leggere anche con questa lente), quando invece tutti i principali studi dell’OCSE, della Banca Centrale Europea e del FMI ricordano che “le potenzialità dell’innovazione tecnologica, l’aumento di conoscenza diffusa, la stessa velocità e potenza trasmissiva delle nuove reti siano di gran lunga fattori più incidenti ”.
Discutere e decidere sul futuro delle reti di TLC è quindi un tutt’uno con la necessità che avvenga “un’esplosione di innovazione”. E’ una delle principali sfide, anche culturali e politiche, che abbiamo di fronte. E occorre prima di tutto che il tema acquisti nel nostro paese la centralità che merita, affrontando nodi mai veramente sciolti negli ultimi anni. In Italia essi si possono riassumere, fondamentalmente, in quattro questioni, tra loro legate: come costruire,con un determinante intervento pubblico, la NGN italiana in termini remunerativi per chi vi investe; come alimentare una domanda di nuovi servizi che ci “educhi” all’innovazione; come rilanciare una “filiera” dell’ICT per non essere meri consumatori di produzioni straniere; come far uscire Telecom Italia – la principale azienda del settore e l’unica dotata di un infrastruttura propria – dallo stallo in cui è.
Senza dare una soluzione contestuale a queste questioni, il rischio è che continui l’attuale fase di paralisi del settore delle TLC e dell’ICT e che le diverse proposte in campo (sia di Telecom da un lato, sia degli altri operatori dall’altro) si riducano a mere tattiche di contenimento e di “sbarramento” degli uni verso gli altri,di una vera e propria neutralizzazione reciproca. (al riguardo si veda anche l’ultima Relazione Annuale dell’Autorità per le Comunicazioni - AGCOM).
Occorre decidere non se, ma come, rispondere a queste domande:
1) Quali risorse , quali investimenti per creare la rete di nuova generazione (evoluzione naturale dell’attuale rete in rame e da integrare fortemente con le reti mobili di ultima generazione), in un momento di scarsità delle risorse pubbliche (quelle poche stanziate sono state già riassorbite in altri capitoli di spesa), di difficoltà della più grande azienda privata (Telecom Italia) e dei suoi principali concorrenti? All’interno di quale quadro regolatorio tenere insieme un determinante sostegno pubblico, remunerazione degli investimenti, trasparenza e concorrenza, valorizzando le risorse di tutti? La direzione politica nazionale deve prendere atto che oggi le aziende delle TLC e dell’ICT in Italia non sono in grado di sviluppare da sole quella massa di investimenti necessari a dotare il paese di una delle infrastrutture strategiche per il futuro e non può lasciare alla pur lodevole iniziative degli enti locali una partita così importante. Inoltre le attuali rete in rame stanno giungendo ad un livello prossimo alla saturazione.
2) Quale percorso possibile si può mettere in campo già nei prossimi mesi per generare una iniziale domanda diffusa per la NGN, che ci educhi anche all’innovazione, a nuovi paradigmi e modi di fare e di essere cittadini, produttori e consumatori?
3) Come si può (e si deve) tenere insieme un piano per la NGN, la costituzione di una domanda iniziale diffusa e il rilancio di un’industria italiana dell’ICT, oggi sempre più schiacciata da economie di scala ridotte e un mercato dell’innovazione asfittico?
4) Come superare l’empasse debitorio e proprietario in Telecom Italia, che da tempo condanna la principale azienda di TLC a non proporre un piano industriale in grado di rilanciare il mercato?
Ci piaccia o no infatti, con riferimento a questo ultimo punto, a più di un decennio di distanza, dobbiamo dichiarare che la privatizzazione di Telecom Italia, per come si è realizzata, è stata un fallimento. Un’azienda con oltre 120 mila dipendenti, una capacità di investimento superiore a 10 miliardi di euro l’anno, senza debiti e con una forte concentrazione di competenze è oggi un’azienda profondamente in crisi, con meno di 56 mila lavoratori, priva di una strategia in grado di risolvere il problema dell’eccessivo debito e degli attuali assetti proprietari, sparita quasi completamente dai mercati esteri emergenti.
Soprattutto è un’azienda non più capace di essere “il motore dell’innovazione”, che blocca l’intero sistema e ne paralizza le scelte strategiche (e non migliore è il panorama nel resto del settore: le aziende Telco più o meno forti affacciatesi sul mercato italiano negli ultimi anni si sono progressivamente svuotate di professionalità ed il loro finire tutte in mani straniere ci consegna un saldo negativo, per gli interessi del Paese).
Per questo oggi più di ieri il futuro delle TLC è indissolubilmente legato a quello di Telecom Italia. E il futuro di Telecom passa dal risolvere la principale contraddizione che tutti abbiamo di fronte: da un lato la rete Telecom rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese, necessaria per fare la rete di nuova generazione (NGN) con la graduale sostituzione di rame e centrali e per accelerare la migrazione dei clienti sulle nuove tecnologie. Un “bene comune” nell’accezione più ampia. Ma dall’altro siamo tutti ben consapevoli che una valorizzazione dell’attuale rete Telecom, fuori dal perimetro dell’azienda, rischia di impattare con il valore stesso dell’azienda, la sua governance, i suoi fatturati e farebbe venir meno quell’integrazione verticale tra settori (a partire dall’informatica e dai costumer) che - oltre a contraccolpi occupazionali - priverebbe Telecom della possibilità di riposizionarsi su servizi personalizzati, sull’offerta di soluzioni informatiche e ICT convergenti, ecc. Pensare – anche come management di Telecom Italia – di sciogliere questo nodo al di fuori di una più ampia discussione sul futuro delle TLC e dell’ICT nel Paese è quindi impossibile.
COSTRUIRE L’OFFERTA: UN PIANO PER LA NGN ITALIANA
Partiamo, allora, da quello che – piaccia o no – non si può fare (per motivi industriali, tecnologici, economici, politici e sociali). Non si può espropriare Telecom della sua rete. Non si può concepire la rete di nuova generazione come esclusivamente subordinata all’evolversi del mercato televisivo, in quanto la rete è volano di più settori, più integrazioni, più convergenze (non si può cioè pensare al futuro della rete Telecom come risposta “truccata” alla sfida Mediaset-Rai-SKY o come mero strumento subordinato alle dinamiche del mercato pubblicitario on line). Non si può pensare alla NGN come una rete esclusivamente tutta in fibra. Non si può realmente credere che l’eventuale nuova società costituita da Vodafone, Fastweb, Wind e Tiscali senza finanziamenti pubblici e senza un’integrazione con Telecom Italia, si possa cimentare in una competizione sull’infrastruttura oltre alcune e specifiche aree metropolitane a forte valore di mercato.
Quindi passiamo a quello che non possiamo permetterci che accada. Non si può accettare il calo degli investimenti e dei ricavi in un settore strategico, motore principale dell’economia della conoscenza. Non si può accettare la paralisi del settore che sta trascinando in un baratro la già non eccelsa realtà dell’informatica italiana (o meglio di quello che vi rimane). Non possiamo perdere tempo prezioso rispetto ai paesi concorrenti dell’Italia che già sono avanti nella costruzione della NGN e che divengono sempre più competitivi e attrattivi di investimenti (soprattutto quando la crisi internazionale sarà finita).Il tempo sta’ scadendo,se non scaduto. Occorre un vero e proprio “Patto per il futuro del Paese”, un “Patto per l’ICT” che coinvolga tutti, ognuno per le proprie responsabilità e poteri. Il Paese deve darsi una scadenza (un vero e proprio “switch off” per la banda ultra larga): entro il 2015 l’ 80% della popolazione italiana e delle imprese deve essere dotato di banda ultra larga e il restante 20% di banda larga.
E sarebbe assai utile – oltre che giusto – che di questa bandiera si impossessassero le forze del centro sinistra, costruendovi intorno alleanze sociali e di interessi, aprendo la discussione e chiamando a raccolta le tante intelligenze, professionalità, imprese e lavoratori sicuramente interessati ad una forte proposta di innovazione industriale.
Solo una “scelta politica” può infatti creare le condizioni per una “dotazione di risorse pubbliche e private” straordinarie, da agevolare con interventi regolatori e con scelte di priorità chiare.
Il Governo e Agcom, per rendere remunerativi gli investimenti sulle reti di nuova generazione, dovrebbe stabilire il prima possibile un percorso di liberalizzazione graduale delle tariffe all’ingrosso per la connessione alla NGN. O in alternativa riconoscere un chiaro sistema di “risk premium” per gli investimenti, definendo i prezzi minimi regolamentati per l’accesso alle reti di nuova generazione, indipendentemente dalle modalità di realizzazione (se in consorzio, se in competizione infrastrutturale, ecc.). Agcom deve cioè definire presto le tabelle di remunerazione minima di passaggio per tutte le infrastrutture di nuova generazione che vanno dal primo stadio di centrale (dorsale) fino alle centrali periferiche, agli armadietti e alla singola abitazione/azienda (tariffe minime per fiber to building, tariffe minime per fiber to home). Così che tutti possano pianificare gli investimenti e soprattutto, a fronte di una spesa e un rendimento minimo correlato, ricorrere a strumenti finanziari, creditizi e azionari per reperire risorse.
Un vincolo/cofinanziamento pubblico dovrebbe inoltre garantire da subito una “tariffa a prezzo simbolico/franchigia” a tutti i servizi offerti dalle pubbliche amministrazioni, per le reti civiche, per i soggetti del privato sociale (anche al fine di agevolare la costruzione di una domanda diffusa, così come già si va sperimentando con successo in Olanda e Germania). Tale principio di liberalizzazione dovrebbe essere riconosciuto a tutti i soggetti pubblici o privati che siano titolari della nuova rete, a condizione, infine, che si facciano garanti anche proquota di estendere la rete alle aree identificate da AGCOM come aree non di interesse di mercato .
Insomma intervento pubblico diretto (in partecipazione) o indiretto (messa a bando) senza tabù ideologici, liberalizzazione graduale in cambio della riduzione del digital divide, remunerazione degli investimenti privati con prezzi a liberalizzazione graduale (all’inizio più alti) a fronte di uno stimolo generalizzato all’aumento della domanda che faccia diminuire nel tempo le tariffe all’ingrosso. Da subito si potrebbero “scongelare” le risorse già disponibili (800 milioni presso il CIPE, 264 presso Infratel, 188 milioni a disposizioni della aree rurali) e si potrebbero coordinare i piani e le risorse regionali messe in campo (per altri 2 miliardi già stanziati).
Così come vanno stabiliti (in sede governativa e di AGCOM) meccanismi per far contribuire alla manutenzione/implementazioni delle reti i diversi produttori di contenuti/pubblicità che oggi, con l’aumento della domanda (peer to peer, on demand, motori di ricerca, ecc.) stanno portando alla saturazione della rete, senza però contribuire direttamente o indirettamente al suo potenziamento. Se cioè da un lato occorre che le aziende di TLC per reperire risorse devono assolutamente differenziare offerte e tecnologie, dall’altro occorre definire modalità di compartecipazione alla manutenzione/implementazione delle reti da parte di coloro che godono (trasferendo spesso valore all’estero) della connettività, non escludendo in una prima fase (con attenzione e con ponderazione, differenziando tra servizi di lusso, servizi a consumo generalizzato, servizi di utilità sociale) prezzi che permettano la condivisione del rischio tra investitori e utilizzatori.
Ovviamente la NGN non dovrà per forza essere completamente in fibra in tutte le sue parti ne inizialmente in tutti i territori: la nuova rete sarà inevitabilmente integrata da un potenziamento delle capacità trasmissive delle reti mobili grazie all’utilizzo di maggiore ampiezza di banda e agli apparati di ultima generazione. La NGN sarà nei fatti una rete basata sulla convergenza di più reti trasmissive (del resto l’omogeneizzazione del protocollo IP segna già questa incontrovertibile direzione di marcia) anche perché sempre più l’utilizzo della banda ad alta velocità – a detta dei principali esperti – sarà every where e con utenti nomadi.
AGGREGARE LA DOMANDA: UNO SFORZO COLLETTIVO
Ma l’eventuale offerta di per sé non basta. Il “Patto per l’innovazione del Paese”, va declinato anche dal lato della domanda. Oggi essa è insufficiente per le capacità della NGN e la costante, ma lenta, diffusione della tv on demand non basta. Occorre sviluppare una strategia di aggregazione generalizzata della possibile “domanda”: pubbliche amministrazioni, enti locali, sistemi sanitari, bancari, ecc. devono essere coordinati da una regia pubblica per l’aggregazione delle possibili domande, al fine di rendere profittevoli già nel breve periodo gli investimenti degli operatori ICT. Serve anche qui una vera e propria “cabina di regia”, un “Comitato nazionale per lo sviluppo della domanda di nuovi servizi” che coordini in maniera efficiente quanto già esiste (o è in programma, a partire da quanto annunciato dal Ministero per la Funzione Pubblica e l’Innovazione e dal Ministero per le Attività produttive) e dia un impulso deciso a chi “è in ritardo” .
Uno switch off parallelo, se vogliamo semplificare, che già di per sé rappresenterebbe una rivoluzione culturale per il paese. Tale “Comitato” dovrebbe assorbire e sfoltire la miriade di gruppi di lavoro, comitatini, tavoli ministeriali, facendosi carico anche di coordinare tutte le azioni oggi disperse (pubbliche e private) a sostegno di: maggior penetrazione dei PC nelle famiglie italiane; alfabetizzazione informatica; diffusione della moneta elettronica come ordinaria modalità di pagamento di beni e servizi.
Infine accanto alle autostrade vanno pensate le “automobili made in Italy”. La scomposizione prima e la crisi poi delle grandi aziende informatiche (Olivetti, Bull, Getronics – oggi Agile/Eutelia - Accenture, Ibm) hanno portato alla crisi di un comparto strategico, fondamentale per integrare le strategie di convergenza e sviluppo delle aziende industriali e di tlc. Per troppo tempo si è assimilata una visione delle imprese di ICT esclusivamente finalizzata alla erogazione e alla “manutenzione” di prodotti informatici, VAS e terminali esteri, facendo venire meno una strategia generale del sistema paese che - solo dalla costruzione di Poli tecnologici, informatici e di tlc - può ricominciare a perseguire una propria politica industriale per l’innovazione degli apparati produttivi. Occorre approfittare allora della riorganizzazione del settore per un grande progetto di politica industriale che tenga insieme tutta la ICT, avendo come interlocuzione l’intero mondo delle imprese: un grande piano per l’ICT italiano, in grado di valorizzare le professionalità presenti nelle diverse aziende oggi in crisi, rilanciando così anche una più generale politica per la ricerca applicata alle nuove soluzioni tecnologiche e organizzative. Non è una strategia diversa da quella per le TLC e la NGN, ma il suo naturale complemento, ritagliata sulle esigenze e specificità dei nostri sistemi sociali ed economici. Serve una proposta industriale per tutta la filiera: anche perché, altrimenti, la prospettiva anche occupazionale dell’attuale settore delle TLC sarà quella di un trascinamento verso il “basso”, più verso i call center che non verso la parte avanzata della ricerca e dello sviluppo IT. Senza un’industria dell’innovazione forte che accompagni la creazione delle reti di nuova generazione, che le renda “multi applicabile” per utilizzare un linguaggio caro agli informatici, rischiamo infatti il fallimento di ogni possibile modernizzazione dell’apparato produttivo, creando una “NGN” vuota o dove altri producono ciò che dovrà passare.
IL NODO TELECOM ITALIA
Infine va affrontato il nodo “Telecom”: la recente vertenza iniziata con oltre sette mila licenziamenti annunciati e poi conclusasi positivamente i primi giorni di Agosto con un’intesa tra azienda, sindacati e Governo (e molto rimane da fare nella “gestione concreta” dell’accordo) ha indicato una possibile direzione di marcia con uno dei più grandi progetti di riconversione professionale di figure tecniche e operaie (saranno almeno 4000 mila i lavoratori coinvolti) verso i nuovi servizi e le nuove tecnologie di comunicazione e di “digitalizzazione” degli ambienti umani (casa e impresa). Ma è stata, per quanto avanzata, una risposta difensiva, finalizzata a salvaguardare occupazione e possibilità di sviluppo. Quel che è mancato e manca è una risposta industriale e finanziaria (cioè un progetto a medio termine) che metta in sicurezza l’azienda, così da dare il suo fondamentale e necessario contributo al “Patto per il futuro dell’ICT”. La principale azienda del Paese (per numero di lavoratori, per professionalità possedute, per investimenti fatti e programmati) deve poter uscire dallo stallo in cui è e tornare ad essere “la lepre da inseguire”.
Occorre affrontare il tema del debito e di una ricapitalizzazione dell’azienda. Occorre sciogliere il nodo di Telefonica. In relazione alla situazione debitoria di Telecom, l’unica strada, facilitata anche dalla proposta di remunerazione delle nuove reti, non può che essere o una ricapitalizzazione da parte degli attuali soci o l’emissione di uno specifico bond a garanzia pluriennale (10-15 miliardi) tale da mettere l’azienda nelle condizioni, per i prossimi anni, di raddoppiare gli investimenti sul mercato domestico ed internazionale. Bond aperto a tutti i soggetti pubblici e privati che sarebbero garantiti oltre che dai notevoli flussi di cassa e dai beni patrimoniali anche dai ritorni dei nuovi investimenti sulla NGN. Lo stesso Bond potrebbe essere coperto pro-quota per quella parte destinata specificatamente alla costruzione della rete di nuova generazione.
Se lasciata libera di operare nel medio termine su aree a forte remunerazione, con patti chiari di medio periodo, diviene infatti meno importante e delicata la discussione sul ruolo di Telefonica o di un altro grande operatore straniero dalla forte vocazione industriale: quello che infatti dovrebbe contare per il sistema Paese (e per i lavoratori di Telecom) è evitare che una paralisi permanente dell’azienda la porti ad essere – prima che poi – una facile preda per chi non ha interesse ad investire in Italia.
In conclusione, il progetto tlc può qualificare una sinistra politica e sociale moderna, e rappresentare la bandiera di un nuovo modello di sviluppo. Per parafrasare lo stesso Lenin citato da Bill Joy, se il socialismo era simbolizzato, all’inizi del secolo scorso,dalla parola d’ordine di “soviet ed elettrificazione”, oggi un moderno socialismo non potrebbe essere definito meglio che dalla parola d’ordine “autogoverno e reti telematiche .”Per tutti.
Roma 4 settembre 2010
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venerdì 27 agosto 2010
BEPPE CIVATI - «L'antiberlusconismo non porta lontano» - di Alessandro Braga
Giuseppe Civati è consigliere regionale del Pd in Lombardia. Trentacinque anni. Alle ultime primarie appoggiò Ignazio Marino.
Tre giorni fa la lettera al paese di Veltroni sul Corriere. Ieri Bersani su Repubblica. Siamo alla politica epistolare?Non vorrei che questa mania «alla Jacopo Ortis» sia il segnale di un centrosinistra che si scrive perché non si sa parlare. Mentre i nostri si mettono davanti a carta, penna e calamaio altri, come la Lega, occupano le prime pagine dei giornali con le loro iniziative fatte di razzismo e populismo. Dovremmo essere noi a riempire i giornali perché siamo tornati ad essere un partito vivo, con una chiara identità e iniziative importanti per il paese. Senza diventare sostenitore dell'uno e dell'altro, mi sembra che la lettera di Veltroni abbia uno sfondo politico culturale più profondo, mentre quella di Bersani è più politichese, per addetti ai lavori.
Ma nella sostanza, che giudizio dai alla proposta Bersani?Mi pare che Bersani si dica disponibile a costituire un governo tecnico e, in caso di elezioni anticipate, un vasto schieramento democratico per fermare Berlusconi. Parla di nuovo Ulivo e di addio all'Unione ma non si capisce quale sia il vecchio Ulivo, quale il nuovo. Mi pare che si sia fermi all'antiberlusconismo, accusa che proprio Bersani aveva fatto ai suoi avversari interni. Un'alleanza con chi dice no a Berlusconi presuppone l'assunzione del concetto che la sua presenza sia definitiva nel panorama politico. Cosa che abbiamo già fatto in passato ma che non porta buoni frutti. Invece...
Invece?Dovremmo dire quale Italia vogliamo e poi portare avanti quell'idea con chi ci sta.
Che Italia vuole il Pd di Civati?Intanto dobbiamo indicare come rimettere in pista il paese. Generare aspettative di rinnovamento. Rilanciare la nostra idea su questioni fondamentali.
Quali?Dobbiamo proporre un vero programma economico, in questo momento di crisi. E avere il coraggio di dire chi deve pagare il conto. La finanziaria di Tremonti sta colpendo i ceti medio-bassi. Noi dovremmo dire qualcosa sulle transazioni finanziarie e i grandi patrimoni, ad esempio. E poi dire come vogliamo investire i tanti o pochi soldi che abbiamo. Puntando ad aiutare i giovani con una vera politica sulla casa, combattendo il precariato che al massimo può essere una fase per l'inserimento nel mondo del lavoro, ma la prospettiva deve essere di avere un lavoro come lo hanno avuto i nostri genitori. Altrimenti quando saremo noi i genitori come faremo? E poi punterei sui diritti civili.
Con chi?Con chi ci sta. Darei per scontato in un progetto del genere l'appoggio di Vendola e Di Pietro. Ma dobbiamo essere capaci di dialogare anche con altri. Però attenzione, va bene allearsi anche con il diavolo per sconfiggere Berlusconi, ma bisogna ottenere risultati, altrimenti è inutile.
Anche utilizzando «forme più articolate di convergenza», come dice Bersani? Cosa vuol dire, una riedizione della desistenza?Non è chiaro: si parla di un accordo con chi ci sta. Ma non credo sia una nuova desistenza, più che altro la vedo come un accordo su alcuni punti di fondo.
Sulla legge elettorale si potrebbe trovare questo accordo?Sì, ma non aspetterei le elezioni. Portiamo una proposta in parlamento ora, troviamo un accordo anche con Fini e Casini e chiediamo di votare la nostra proposta. Alla camera si potrebbe mettere sotto il governo in questo modo.
Ma quale proposta? Che tipo di legge elettorale?Una legge che ridia dignità al parlamento. Se non si trova nulla di meglio potrebbe andare bene anche il Mattarellum. E poi il centrosinistra deve puntare sulle primarie, riavvicinarsi alla gente.
Il porta a porta di Bersani?Quella è una buona idea. Bersani dice che è arrivato il tempo di suonare le nostre campane. Io mi accontento dei campanelli.
Tre giorni fa la lettera al paese di Veltroni sul Corriere. Ieri Bersani su Repubblica. Siamo alla politica epistolare?Non vorrei che questa mania «alla Jacopo Ortis» sia il segnale di un centrosinistra che si scrive perché non si sa parlare. Mentre i nostri si mettono davanti a carta, penna e calamaio altri, come la Lega, occupano le prime pagine dei giornali con le loro iniziative fatte di razzismo e populismo. Dovremmo essere noi a riempire i giornali perché siamo tornati ad essere un partito vivo, con una chiara identità e iniziative importanti per il paese. Senza diventare sostenitore dell'uno e dell'altro, mi sembra che la lettera di Veltroni abbia uno sfondo politico culturale più profondo, mentre quella di Bersani è più politichese, per addetti ai lavori.
Ma nella sostanza, che giudizio dai alla proposta Bersani?Mi pare che Bersani si dica disponibile a costituire un governo tecnico e, in caso di elezioni anticipate, un vasto schieramento democratico per fermare Berlusconi. Parla di nuovo Ulivo e di addio all'Unione ma non si capisce quale sia il vecchio Ulivo, quale il nuovo. Mi pare che si sia fermi all'antiberlusconismo, accusa che proprio Bersani aveva fatto ai suoi avversari interni. Un'alleanza con chi dice no a Berlusconi presuppone l'assunzione del concetto che la sua presenza sia definitiva nel panorama politico. Cosa che abbiamo già fatto in passato ma che non porta buoni frutti. Invece...
Invece?Dovremmo dire quale Italia vogliamo e poi portare avanti quell'idea con chi ci sta.
Che Italia vuole il Pd di Civati?Intanto dobbiamo indicare come rimettere in pista il paese. Generare aspettative di rinnovamento. Rilanciare la nostra idea su questioni fondamentali.
Quali?Dobbiamo proporre un vero programma economico, in questo momento di crisi. E avere il coraggio di dire chi deve pagare il conto. La finanziaria di Tremonti sta colpendo i ceti medio-bassi. Noi dovremmo dire qualcosa sulle transazioni finanziarie e i grandi patrimoni, ad esempio. E poi dire come vogliamo investire i tanti o pochi soldi che abbiamo. Puntando ad aiutare i giovani con una vera politica sulla casa, combattendo il precariato che al massimo può essere una fase per l'inserimento nel mondo del lavoro, ma la prospettiva deve essere di avere un lavoro come lo hanno avuto i nostri genitori. Altrimenti quando saremo noi i genitori come faremo? E poi punterei sui diritti civili.
Con chi?Con chi ci sta. Darei per scontato in un progetto del genere l'appoggio di Vendola e Di Pietro. Ma dobbiamo essere capaci di dialogare anche con altri. Però attenzione, va bene allearsi anche con il diavolo per sconfiggere Berlusconi, ma bisogna ottenere risultati, altrimenti è inutile.
Anche utilizzando «forme più articolate di convergenza», come dice Bersani? Cosa vuol dire, una riedizione della desistenza?Non è chiaro: si parla di un accordo con chi ci sta. Ma non credo sia una nuova desistenza, più che altro la vedo come un accordo su alcuni punti di fondo.
Sulla legge elettorale si potrebbe trovare questo accordo?Sì, ma non aspetterei le elezioni. Portiamo una proposta in parlamento ora, troviamo un accordo anche con Fini e Casini e chiediamo di votare la nostra proposta. Alla camera si potrebbe mettere sotto il governo in questo modo.
Ma quale proposta? Che tipo di legge elettorale?Una legge che ridia dignità al parlamento. Se non si trova nulla di meglio potrebbe andare bene anche il Mattarellum. E poi il centrosinistra deve puntare sulle primarie, riavvicinarsi alla gente.
Il porta a porta di Bersani?Quella è una buona idea. Bersani dice che è arrivato il tempo di suonare le nostre campane. Io mi accontento dei campanelli.
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giovedì 8 luglio 2010
Superconti Spa, stato di agitazione e blocco degli straordinari
La protesta decisa da Rsa e sindacati dopo la rottura del tavolo sul contratto integrativo
I lavoratori di Superconti Spa di Terni entrano in stato di agitazione e avviano da oggi, mercoledì 7 luglio, il blocco degli straordinari. La protesta, sostenuta oltre che dalle Rsa di Superconti, da Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascati Cisl di Terni, scatta dopo la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, scaduto da tre anni e sul quale l'azienda ha mostrato “una totale chiusura, negando qualsiasi riconoscimento ai lavoratori e respingendo tutte le proposte della piattaforma sindacale”.
In particolare sindacati e Rsa sottolineano la delicatezza di alcune questioni poste nella piattaforma e sulle quali l'azienda non ha accettato alcuna mediazione: tra queste c'è prima di tutto il mancato accordo sul lavoro domenicale (in violazione, sottolineano i sindacati, di quanto previsto dal contratto nazionale) e sulla richiesta di una maggiorazione dignitosa per i lavoratori e le lavoratrici che si impegnano per pochi euro nel lavoro festivo. Filcams, Fisascat e Uiltucs di Terni sottolineano infatti che “attualmente le maggiorazioni per i lavoratori di Superconti (che tra l'altro ha sei punti vendita tutti nel centro cittadino e può quindi effettuare tutte le aperture domenicali che desidera) sono di gran lunga le più basse rispetto agli altri contratti integrativi del commercio e della distribuzione cooperativa siglati nel territorio provinciale”. Altra questione centrale posta dai sindacati è quella dell'organizzazione del lavoro per i tanti dipendenti part-time (che rappresentano la maggior parte della forza lavoro in azienda), per i quali, dicono le tre sigle, “attualmente il premio di produzione è inesistente”.
“Pur essendo consapevoli della situazione di crisi globale che investe il territorio, anche se – sottolineano i sindacati e le Rsa – Superconti non ha ancora mai portato alcun dato contabile che possa in qualche modo giustificare il suo atteggiamento di chiusura totale, giudichiamo inaccettabile e incomprensibile la volontà di non pervenire ad alcuna mediazione per riconoscere ai lavoratori lo straordinario impegno profuso negli ultimi anni e lo spirito di forte fidelizzazione all'azienda che li caratterizza”.
Confermando dunque l'apertura dello stato di agitazione, sindacati e Rsa annunciano che nei prossimi giorni verrà convocata un'assemblea di tutto il personale per decidere come portare avanti la mobilitazione a difesa dei diritti dei lavoratori.
I lavoratori di Superconti Spa di Terni entrano in stato di agitazione e avviano da oggi, mercoledì 7 luglio, il blocco degli straordinari. La protesta, sostenuta oltre che dalle Rsa di Superconti, da Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascati Cisl di Terni, scatta dopo la rottura delle trattative per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, scaduto da tre anni e sul quale l'azienda ha mostrato “una totale chiusura, negando qualsiasi riconoscimento ai lavoratori e respingendo tutte le proposte della piattaforma sindacale”.
In particolare sindacati e Rsa sottolineano la delicatezza di alcune questioni poste nella piattaforma e sulle quali l'azienda non ha accettato alcuna mediazione: tra queste c'è prima di tutto il mancato accordo sul lavoro domenicale (in violazione, sottolineano i sindacati, di quanto previsto dal contratto nazionale) e sulla richiesta di una maggiorazione dignitosa per i lavoratori e le lavoratrici che si impegnano per pochi euro nel lavoro festivo. Filcams, Fisascat e Uiltucs di Terni sottolineano infatti che “attualmente le maggiorazioni per i lavoratori di Superconti (che tra l'altro ha sei punti vendita tutti nel centro cittadino e può quindi effettuare tutte le aperture domenicali che desidera) sono di gran lunga le più basse rispetto agli altri contratti integrativi del commercio e della distribuzione cooperativa siglati nel territorio provinciale”. Altra questione centrale posta dai sindacati è quella dell'organizzazione del lavoro per i tanti dipendenti part-time (che rappresentano la maggior parte della forza lavoro in azienda), per i quali, dicono le tre sigle, “attualmente il premio di produzione è inesistente”.
“Pur essendo consapevoli della situazione di crisi globale che investe il territorio, anche se – sottolineano i sindacati e le Rsa – Superconti non ha ancora mai portato alcun dato contabile che possa in qualche modo giustificare il suo atteggiamento di chiusura totale, giudichiamo inaccettabile e incomprensibile la volontà di non pervenire ad alcuna mediazione per riconoscere ai lavoratori lo straordinario impegno profuso negli ultimi anni e lo spirito di forte fidelizzazione all'azienda che li caratterizza”.
Confermando dunque l'apertura dello stato di agitazione, sindacati e Rsa annunciano che nei prossimi giorni verrà convocata un'assemblea di tutto il personale per decidere come portare avanti la mobilitazione a difesa dei diritti dei lavoratori.
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martedì 29 giugno 2010
Politica e cultura: quali speranze? Mario Tronti e il vescovo di Orvieto-Todi Giovanni Scanavino a dialogo
Un filosofo “marxista” e un vescovo. Più precisamente, uno dei più originali pensatori “radicali” italiani - capace di tenere assieme il barbuto di Treviri e Carl Schmitt, Lenin e Max Weber, i gesuiti spagnoli e Machiavelli – e un frate, presule nella diocesi di Orvieto-TODI, votato ad Agostino di Tagaste, il santo africano ritenuto uno dei massimi pensatori del mondo occidentale.
Stiamo parlando di Mario Tronti e di padre Giovanni Scanavino, messi l’uno accanto all’altro, dalle ore 21.00 di giovedì 1 luglio, alla Festa Democratica di Orvieto.
La riflessione su “Politica e cultura: quali speranze”, coordinata da Giuseppe Della Fina, vuole anzitutto essere un invito a liberare il pensiero dagli ingombranti imballaggi che impediscono l’esercizio della trascendenza, quella virtù specificatamente umana che interpone tra uomo e mondo una differenza, uno stacco dentro cui abita lo spirito, la cultura, l’arte, la politica. Al centro del dialogo, la riflessione del filosofo sugli esiti terminali di una modernità che non contempla il controtempo della trascendenza.
“L’homo religiosus – afferma Tronti sorprendendo qualche nostalgico mangiapreti - ha una potenzialità di alternativa, e di antagonismo, rispetto alla struttura fondante di questo mondo, che l’homo democraticus non ha e non può avere, perché è stato costruito affinché non l’avesse”. I primi cristiani, precisa l’autore di “Operai e Capitale”, riuscirono a mantenere una radicale alterità rispetto al mondo pur senza diventare estranei al mondo. Vinsero perché durarono. E durano perché, come si dice nel Vangelo di Giovanni, erano “nel” mondo ma non “del” mondo.
Tronti vede nella riduzione del mondo a pura immanenza il trionfo dello spirito borghese illuminato. Quello stesso spirito, che ancor oggi governa il processo della modernizzazione, vieta il conflitto, l’audacia della trasformazione radicale e istruisce il pensiero politico delle società postindustriali. Il mondo è pieno, non ammette crepe o alterità radicali. “Il massimo ammissibile del conflitto – afferma il filosofo - è la provvisoria personalizzazione di quel qualcuno, nella parte del’cattivo’”. Dentro la categoria del conflitto Tronti rilegge la vicenda della classe operaia novecentesca. “Gli operai dentro il capitale - scrive - sono stati l’ultimo anello, quello giunto a più alta coscienza, della lunga catena degli oppressi. Ai lavoratori di oggi bisogna riconsegnare questa coscienza, di essere un ulteriore anello della catena”.
L’annientamento del conflitto, dell’irriducibile alterità non segna solo la fine della classe operaia ma anche della politica. “Più la politica si assimila al mondo - sottolinea Tronti -, a ciò che è così com’è, più diventa superflua”. Bisogna allora guardare alla religione, a quel rapporto con l’Invisibile che rende la persona “indisponibile, inassimilabile, incatturabile per una coscienza dominante di mondo che ti dice: è tutto qui, non c’è altro, quello che conta è quello che vedi, devi sistemarti, o devi partecipare, che è la stessa cosa”. In quell’indisponibilità si scorgono i bagliori dell’atto di libertà, dell’autodeterminazione anche collettiva.
È quindi un errore – sostiene il professore senese – declinare la laicità in chiave antireligiosa. “La laicità di cui abbiamo bisogno – prosegue - è più una interpretazione del sacro che un’assunzione del secolo. Su questo possiamo trovare un vero reciproco ascolto con altre sensibilità alternative. Credetemi, c’è più varietà di posizioni e libertà di pensiero in quella ‘complexio oppositorum’ che è la Chiesa cattolica, di quanto ne potete trovare nel pensiero unico del Fondo monetario internazionale. Non sbagliamo bersaglio. Il nemico, il nemico non l’avversario, è questo, non quella. Più in generale, sulla denuncia dei mali del mondo e sul destino dell’essere umano, tra la dimensione del politico e la dimensione del religioso coltiverei oggi più la possibilità di un incontro strategico che l’occasione di un conflitto quotidiano”.
Dopo l’estinguersi di innumerevoli terze vie, sarà forse la resistenza al secolo della Chiesa ad offrire alla sinistra un modello di politica all’altezza dei tempi?
Stiamo parlando di Mario Tronti e di padre Giovanni Scanavino, messi l’uno accanto all’altro, dalle ore 21.00 di giovedì 1 luglio, alla Festa Democratica di Orvieto.
La riflessione su “Politica e cultura: quali speranze”, coordinata da Giuseppe Della Fina, vuole anzitutto essere un invito a liberare il pensiero dagli ingombranti imballaggi che impediscono l’esercizio della trascendenza, quella virtù specificatamente umana che interpone tra uomo e mondo una differenza, uno stacco dentro cui abita lo spirito, la cultura, l’arte, la politica. Al centro del dialogo, la riflessione del filosofo sugli esiti terminali di una modernità che non contempla il controtempo della trascendenza.
“L’homo religiosus – afferma Tronti sorprendendo qualche nostalgico mangiapreti - ha una potenzialità di alternativa, e di antagonismo, rispetto alla struttura fondante di questo mondo, che l’homo democraticus non ha e non può avere, perché è stato costruito affinché non l’avesse”. I primi cristiani, precisa l’autore di “Operai e Capitale”, riuscirono a mantenere una radicale alterità rispetto al mondo pur senza diventare estranei al mondo. Vinsero perché durarono. E durano perché, come si dice nel Vangelo di Giovanni, erano “nel” mondo ma non “del” mondo.
Tronti vede nella riduzione del mondo a pura immanenza il trionfo dello spirito borghese illuminato. Quello stesso spirito, che ancor oggi governa il processo della modernizzazione, vieta il conflitto, l’audacia della trasformazione radicale e istruisce il pensiero politico delle società postindustriali. Il mondo è pieno, non ammette crepe o alterità radicali. “Il massimo ammissibile del conflitto – afferma il filosofo - è la provvisoria personalizzazione di quel qualcuno, nella parte del’cattivo’”. Dentro la categoria del conflitto Tronti rilegge la vicenda della classe operaia novecentesca. “Gli operai dentro il capitale - scrive - sono stati l’ultimo anello, quello giunto a più alta coscienza, della lunga catena degli oppressi. Ai lavoratori di oggi bisogna riconsegnare questa coscienza, di essere un ulteriore anello della catena”.
L’annientamento del conflitto, dell’irriducibile alterità non segna solo la fine della classe operaia ma anche della politica. “Più la politica si assimila al mondo - sottolinea Tronti -, a ciò che è così com’è, più diventa superflua”. Bisogna allora guardare alla religione, a quel rapporto con l’Invisibile che rende la persona “indisponibile, inassimilabile, incatturabile per una coscienza dominante di mondo che ti dice: è tutto qui, non c’è altro, quello che conta è quello che vedi, devi sistemarti, o devi partecipare, che è la stessa cosa”. In quell’indisponibilità si scorgono i bagliori dell’atto di libertà, dell’autodeterminazione anche collettiva.
È quindi un errore – sostiene il professore senese – declinare la laicità in chiave antireligiosa. “La laicità di cui abbiamo bisogno – prosegue - è più una interpretazione del sacro che un’assunzione del secolo. Su questo possiamo trovare un vero reciproco ascolto con altre sensibilità alternative. Credetemi, c’è più varietà di posizioni e libertà di pensiero in quella ‘complexio oppositorum’ che è la Chiesa cattolica, di quanto ne potete trovare nel pensiero unico del Fondo monetario internazionale. Non sbagliamo bersaglio. Il nemico, il nemico non l’avversario, è questo, non quella. Più in generale, sulla denuncia dei mali del mondo e sul destino dell’essere umano, tra la dimensione del politico e la dimensione del religioso coltiverei oggi più la possibilità di un incontro strategico che l’occasione di un conflitto quotidiano”.
Dopo l’estinguersi di innumerevoli terze vie, sarà forse la resistenza al secolo della Chiesa ad offrire alla sinistra un modello di politica all’altezza dei tempi?
venerdì 25 giugno 2010
I Sindaci dei Comuni Montani dell'Umbria incontrano l'Uffico Scolastico Regionale : concertazione per trovare soluzioni comuni in difesa della scuola
La delegazione dei Comuni Montani dell'Umbria, composta dai Comuni di Castel Giorgio, Città delle Pieve, Foligno, Gubbio, Lisciano Niccone, Lugnano in Teverina, Montegabbione, Monteleone d'Orvieto, Piegaro, Sellano, ha avuto un incontro questa mattina con la Direzione Scolastica Regionale in cui erano presenti il Vicedirettore Regionale Dott. Petruzzo, e i Direttori Provinciali, Dott.ssa Bodo e Dott. Monetti.
I Comuni Montani hanno evidenziato che la situazione scolastica attuale è una questione territoriale, sia dei piccoli che dei grandi Comuni in cui ci sono plessi svantaggiati. Le scuole dei piccoli centri sono quelli che, oltre a rappresentare dei presidi culturali, danno vita ai territori che per loro natura geo-morfologica sono penalizzati dal punto di vista dei servizi.
L’USR risponde che le risorse sono limitate e accettano questo incontro che vede al tavolo molti Comuni, perché così non si trovano costretti a tagliare organico ad un Comune per assegnarlo ad un altro. L’USR lavora con i parametri gestionali del Ministero e della Regione ed ha ha una responsabilità nell’attuazione.
I Comuni Montani hanno presentato un documento, (in allegato) frutto di una riunione sottoscritto da 24 Sindaci e dall'ANCI Umbria ed hanno avanzato delle richieste:
1. Coinvolgimento da parte dell'USR degli enti locali nell'applicazione della Riforma Gelmini con particolare riguardo alle scuole dei Comuni Montani, come espresso nel DPR 20 marzo 2009 n.81 e nella Costituzione Italiana.
2. Il rispetto del parametro di 10 bambini nella formazione delle classi con possibilità di deroga in considerazione: del tempo che i bambini devono trascorrere dentro il pulmino; dell’andamento demografico dei prossimi anni per assicurare una continuità; dei flussi migratori particolarmente consistenti in alcune zone;della presenza di handicap.
3. Che l'analisi dei dati venga fatta per Istituto da un punto di vista dell’organico e che nel caso di pluriclasse venga lasciata la valutazione interna all'Istituto (la pluriclasse può essere considerata didatticamente dignitosa se vi è sufficiente organico).
L’USR afferma che si è di fronte ad un duplice problema: gestire situazioni nei piccoli plessi con classi di 8 alunni e nei plessi piu’ grandi classi da 27 alunni. I Comuni affermano che questa è la “doppia faccia della stessa medaglia” perché accorpando i plessi e impoverendo le scuole nella didattica e costituendo le pluriclassi con personale docente in numero insufficiente, le famiglie scelgono di trasferirsi o di portare i bambini in centri piu’ grandi congestionando così la situazione di altri plessi scolastici.
Il Vicedirettore afferma che le risorse da assegnare nell’organico di fatto sono una piccola percentuale rispetto all’organico di diritto, ma i Comuni Montani rivendicano che un diritto garantito non può eludere da vincoli di bilancio, come testimonia la sentenza della Corte Costituzionale del 22.02.10 riguardo al sostegno all'handicap.
I direttori provinciali confermano che la scuola di ieri non esiste piu’ e che l’indirizzo di oggi si orienta verso una scuola di 27 ore.
Infine i Comuni Montani chiedono all'USR di condividere le proposte avanzate e manifestarle con convinzione al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e Ricerca, tramite la Conferenza Stato-Regione al fine di assicurare il diritto allo studio a tutti i cittadini, indipendentemente da dove si vive.
A tal scopo chiedono che l'USR si attivi per ottenere risorse aggiuntive nella gestione della situazione dei plessi scolastici dei Comuni Montani.
Dalla riunione emerge la necessità di un incontro urgente da parte dei Comuni Montani e dell’USR con la Regione Umbria già richiesto programmato nella prossima settimana.
ViceSindaco di Montegabbione
Dott.ssa Isabella Marchino
I Comuni Montani hanno evidenziato che la situazione scolastica attuale è una questione territoriale, sia dei piccoli che dei grandi Comuni in cui ci sono plessi svantaggiati. Le scuole dei piccoli centri sono quelli che, oltre a rappresentare dei presidi culturali, danno vita ai territori che per loro natura geo-morfologica sono penalizzati dal punto di vista dei servizi.
L’USR risponde che le risorse sono limitate e accettano questo incontro che vede al tavolo molti Comuni, perché così non si trovano costretti a tagliare organico ad un Comune per assegnarlo ad un altro. L’USR lavora con i parametri gestionali del Ministero e della Regione ed ha ha una responsabilità nell’attuazione.
I Comuni Montani hanno presentato un documento, (in allegato) frutto di una riunione sottoscritto da 24 Sindaci e dall'ANCI Umbria ed hanno avanzato delle richieste:
1. Coinvolgimento da parte dell'USR degli enti locali nell'applicazione della Riforma Gelmini con particolare riguardo alle scuole dei Comuni Montani, come espresso nel DPR 20 marzo 2009 n.81 e nella Costituzione Italiana.
2. Il rispetto del parametro di 10 bambini nella formazione delle classi con possibilità di deroga in considerazione: del tempo che i bambini devono trascorrere dentro il pulmino; dell’andamento demografico dei prossimi anni per assicurare una continuità; dei flussi migratori particolarmente consistenti in alcune zone;della presenza di handicap.
3. Che l'analisi dei dati venga fatta per Istituto da un punto di vista dell’organico e che nel caso di pluriclasse venga lasciata la valutazione interna all'Istituto (la pluriclasse può essere considerata didatticamente dignitosa se vi è sufficiente organico).
L’USR afferma che si è di fronte ad un duplice problema: gestire situazioni nei piccoli plessi con classi di 8 alunni e nei plessi piu’ grandi classi da 27 alunni. I Comuni affermano che questa è la “doppia faccia della stessa medaglia” perché accorpando i plessi e impoverendo le scuole nella didattica e costituendo le pluriclassi con personale docente in numero insufficiente, le famiglie scelgono di trasferirsi o di portare i bambini in centri piu’ grandi congestionando così la situazione di altri plessi scolastici.
Il Vicedirettore afferma che le risorse da assegnare nell’organico di fatto sono una piccola percentuale rispetto all’organico di diritto, ma i Comuni Montani rivendicano che un diritto garantito non può eludere da vincoli di bilancio, come testimonia la sentenza della Corte Costituzionale del 22.02.10 riguardo al sostegno all'handicap.
I direttori provinciali confermano che la scuola di ieri non esiste piu’ e che l’indirizzo di oggi si orienta verso una scuola di 27 ore.
Infine i Comuni Montani chiedono all'USR di condividere le proposte avanzate e manifestarle con convinzione al Ministero dell'Istruzione, dell'Università e Ricerca, tramite la Conferenza Stato-Regione al fine di assicurare il diritto allo studio a tutti i cittadini, indipendentemente da dove si vive.
A tal scopo chiedono che l'USR si attivi per ottenere risorse aggiuntive nella gestione della situazione dei plessi scolastici dei Comuni Montani.
Dalla riunione emerge la necessità di un incontro urgente da parte dei Comuni Montani e dell’USR con la Regione Umbria già richiesto programmato nella prossima settimana.
ViceSindaco di Montegabbione
Dott.ssa Isabella Marchino
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domenica 13 giugno 2010
Cgil Orvieto, Maria Rita Paggio riconfermata alla guida
Giovedì 10 Giugno 2010, si è tenuta la III° Assemblea Congressuale di Zona della Camera del Lavoro di Orvieto. L’assemblea, aperta dalla relazione di Maria Rita Paggio e conclusa dal Segretario Generale della Cgil dell’Umbria Mario Bravi, è stata caratterizzata da numerosi interventi dei responsabili e delegati delle varie categorie che hanno sottolineato come le ricadute della crisi si stanno manifestando in tutta la loro gravità sul tessuto produttivo del territorio.
Al termine dei lavori Maria Rita Paggio è stata riconfermata all’unanimità responsabile della Cgil orvietana.
Al termine dei lavori Maria Rita Paggio è stata riconfermata all’unanimità responsabile della Cgil orvietana.
lunedì 31 maggio 2010
Gaza: assalto nave pacifisti, vicinanza e solidarietà di Libera
Riportiamo il comunicato integrale diffuso da “LIBERA, associazioni nomi e numeri contro le mafie“, in cui si condanna l’aggressione contro la nave dei pacifisti, perpetrata in acque internazionali dalle truppe israeliane e si chiede il rispetto del Diritto internazionale.
” Esprimiamo la nostra vicinanza alle vittime della Freedom Flotilla uccise dai commando della marina israeliana in acque internazionali mentre portavano aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza. Il tributo della vita umana è sempre il più alto che si possa considerare per l’affermazione della libertà e del diritto. Per questa ragione intendiamo onorare la loro memoria proseguendo nella stessa azione di denuncia dell’ingiustizia e di solidarietà con gli abitanti di Gaza.
Denunciamo la violazione del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane e per questo chiediamo che le istituzioni preposte condannino nelle sedi e nei modi opportuni lo Stato di Israele. Il governo italiano si faccia promotore in sede internazionale di un’iniziativa in tal senso. Tacere vorrebbe dire essere complici e consentire ancora una volta la violazione delle regole da parte del più forte.
Chiediamo che sia consentita l’assistenza umanitaria a favore degli abitanti della Striscia di Gaza, che sia garantita la presenza e l’operatività delle Organizzazioni Non Governative, l’ingresso di materiale medico e di ogni altro bene di prima necessità.
Ci sentiamo di affermare questi principi come Libera - Associazioni nomi e numeri contro le mafie, perché riteniamo che nemmeno in seno alla comunità internazionale sia tollerabile l’atteggiamento del voltarsi dall’altra parte e consentire che il più forte detti le proprie regole. Pensiamo peraltro che proprio l’affermazione del diritto internazionale e la scrupolosa osservanza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, costituiscano la base per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.
Sin da ora Libera dichiara la propria disponibilità ad aderire alle forme di protesta e di pressione che si vorranno intraprendere per chiedere verità e giustizia.”
Tratto da: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3239
” Esprimiamo la nostra vicinanza alle vittime della Freedom Flotilla uccise dai commando della marina israeliana in acque internazionali mentre portavano aiuti umanitari alla popolazione della Striscia di Gaza. Il tributo della vita umana è sempre il più alto che si possa considerare per l’affermazione della libertà e del diritto. Per questa ragione intendiamo onorare la loro memoria proseguendo nella stessa azione di denuncia dell’ingiustizia e di solidarietà con gli abitanti di Gaza.
Denunciamo la violazione del diritto internazionale da parte delle autorità israeliane e per questo chiediamo che le istituzioni preposte condannino nelle sedi e nei modi opportuni lo Stato di Israele. Il governo italiano si faccia promotore in sede internazionale di un’iniziativa in tal senso. Tacere vorrebbe dire essere complici e consentire ancora una volta la violazione delle regole da parte del più forte.
Chiediamo che sia consentita l’assistenza umanitaria a favore degli abitanti della Striscia di Gaza, che sia garantita la presenza e l’operatività delle Organizzazioni Non Governative, l’ingresso di materiale medico e di ogni altro bene di prima necessità.
Ci sentiamo di affermare questi principi come Libera - Associazioni nomi e numeri contro le mafie, perché riteniamo che nemmeno in seno alla comunità internazionale sia tollerabile l’atteggiamento del voltarsi dall’altra parte e consentire che il più forte detti le proprie regole. Pensiamo peraltro che proprio l’affermazione del diritto internazionale e la scrupolosa osservanza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, costituiscano la base per la soluzione del conflitto israelo-palestinese.
Sin da ora Libera dichiara la propria disponibilità ad aderire alle forme di protesta e di pressione che si vorranno intraprendere per chiedere verità e giustizia.”
Tratto da: http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/3239
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lunedì 17 maggio 2010
Primarie PD : la commissione Statuto approva all'unanimità le proposte di modifica dello statuto.
Il 13 maggio il Comitato di redazione per le modifiche dello Statuto del Pd, composto da Maurizio Migliavacca, Nico Stumpo, Alfredo D’Attorre, Gero Grassi, Marina Sereni e Michele Meta, ha concluso i lavori per la formulazione della proposta che è stata presentata oggi alla commissione nazionale Statuto.
Le modifiche proposte interessano: il ruolo degli iscritti, lo svolgimento dei congressi locali, la valorizzazione del ruolo dei circoli, le incompatibilità tra cariche di partito e istituzionali, le misure a garanzia della trasparenza e della moralità dell’impegno politico e il miglioramento delle primarie quale metodo per la selezione dei candidati alle cariche monocratiche.
La proposta di revisione statutaria è stata approvata all’unanimità del comitato, oggi la Commissione Statuto ha formulato, anch'essa all'unanimità, la proposta conclusiva, che sarà poi sottoposta all’Assemblea Nazionale di venerdì 21 e sabato 22 maggio, per l’approvazione definitiva.
In serata Enrico Letta, vicesegretario del PD, dichiara: "La discussione sui documenti preparatori per l’assemblea nazionale non va interpretata con la logica di vincitori e vinti, come alcune agenzie di oggi lasciano intendere. È un dibattito appena iniziato che coinvolgerà l’assemblea venerdì e sabato e poi i circoli e i forum del PD".
Maurizio Migliavacca, presidente della comissione Statuto del Pd, conversando con i giornalisti si è detto soddisfatto per il voto con il quale sono state approvate le modifiche alle regole interne del partito: "Abbiamo fatto un check up dello Statuto con un'ampia discussione all'insegna della trasparenza, tanto che sarà pubblicata interamente sul sito internet del Pd, da queste modifiche esce un partito più vicino agli iscritti, agli elettori e ai territori".
In sintesi, le modifiche principali riguardano sei aspetti: "Si stabilisce la sovranità degli iscritti nelle elezioni dei segretari dei circoli e provinciali e degli organismi dirigenti che verranno espressi con voto segreto e individuale degli iscritti, da qui ottobre - ha ricordato il presidente della commissione Statuto - si svolgeranno un'ottantina di congressi locali. Si stabilisce la centralità dei circoli nella scelta dei dirigenti e i circoli, per statuto saranno ampiamente rappresentati negli organismi dirigenti dei livelli superiori".
Inoltre, ha spiegato ancora Migliavacca, "si stabilisce il federalismo delle risorse, ossia la maggioranza delle risorse raccolte dal Pd rimarranno al territorio", si introduce poi il principio della "separazione tra incarichi di partito e istituzionali, impedendo quindi i doppi incarichi". Si introducono "regole stringenti di trasparenza e moralità della politica con l'anagrafe degli eletti del Pd, dal Comune al Parlamento europeo gli eletti dovranno rendere noti i loro patrimoni".
Infine, sul capitolo primarie Migliavacca ha ribadito: "Le abbiamo migliorate e rafforzate allargandole alla costruzione delle alleanze e delle coalizioni".
Già ieri, Nico Stumpo, responsabile Organizzazione della segreteria nazionale del Pd, dichiarava: “L’approvazione all’unanimità nel comitato di Redazione della proposta di modifiche dello Statuto è motivo di soddisfazione e ci ripaga delle polemiche di cui si è lungamente parlato in questi giorni. È in questo clima di confronto sereno e trasparente che si riunirà la commissione Statuto e la settimana prossima l’Assemblea nazionale”.
Le modifiche proposte interessano: il ruolo degli iscritti, lo svolgimento dei congressi locali, la valorizzazione del ruolo dei circoli, le incompatibilità tra cariche di partito e istituzionali, le misure a garanzia della trasparenza e della moralità dell’impegno politico e il miglioramento delle primarie quale metodo per la selezione dei candidati alle cariche monocratiche.
La proposta di revisione statutaria è stata approvata all’unanimità del comitato, oggi la Commissione Statuto ha formulato, anch'essa all'unanimità, la proposta conclusiva, che sarà poi sottoposta all’Assemblea Nazionale di venerdì 21 e sabato 22 maggio, per l’approvazione definitiva.
In serata Enrico Letta, vicesegretario del PD, dichiara: "La discussione sui documenti preparatori per l’assemblea nazionale non va interpretata con la logica di vincitori e vinti, come alcune agenzie di oggi lasciano intendere. È un dibattito appena iniziato che coinvolgerà l’assemblea venerdì e sabato e poi i circoli e i forum del PD".
Maurizio Migliavacca, presidente della comissione Statuto del Pd, conversando con i giornalisti si è detto soddisfatto per il voto con il quale sono state approvate le modifiche alle regole interne del partito: "Abbiamo fatto un check up dello Statuto con un'ampia discussione all'insegna della trasparenza, tanto che sarà pubblicata interamente sul sito internet del Pd, da queste modifiche esce un partito più vicino agli iscritti, agli elettori e ai territori".
In sintesi, le modifiche principali riguardano sei aspetti: "Si stabilisce la sovranità degli iscritti nelle elezioni dei segretari dei circoli e provinciali e degli organismi dirigenti che verranno espressi con voto segreto e individuale degli iscritti, da qui ottobre - ha ricordato il presidente della commissione Statuto - si svolgeranno un'ottantina di congressi locali. Si stabilisce la centralità dei circoli nella scelta dei dirigenti e i circoli, per statuto saranno ampiamente rappresentati negli organismi dirigenti dei livelli superiori".
Inoltre, ha spiegato ancora Migliavacca, "si stabilisce il federalismo delle risorse, ossia la maggioranza delle risorse raccolte dal Pd rimarranno al territorio", si introduce poi il principio della "separazione tra incarichi di partito e istituzionali, impedendo quindi i doppi incarichi". Si introducono "regole stringenti di trasparenza e moralità della politica con l'anagrafe degli eletti del Pd, dal Comune al Parlamento europeo gli eletti dovranno rendere noti i loro patrimoni".
Infine, sul capitolo primarie Migliavacca ha ribadito: "Le abbiamo migliorate e rafforzate allargandole alla costruzione delle alleanze e delle coalizioni".
Già ieri, Nico Stumpo, responsabile Organizzazione della segreteria nazionale del Pd, dichiarava: “L’approvazione all’unanimità nel comitato di Redazione della proposta di modifiche dello Statuto è motivo di soddisfazione e ci ripaga delle polemiche di cui si è lungamente parlato in questi giorni. È in questo clima di confronto sereno e trasparente che si riunirà la commissione Statuto e la settimana prossima l’Assemblea nazionale”.
venerdì 14 maggio 2010
Condannato l'on ROBERTO SPECIALE per il ponte aereo per le spigole
da www.repubblica.it
Il giudizio d'appello militare: non fu generosità ma abuso di denaro e risorse pubbliche. Fece portare il pesce da Pratica di Mare a Passo Rolle, dov'era in vacanza, con Atr della Gdfdi
di CARLO BONINI
ROMA - Un anno e sei mesi di reclusione per peculato continuato. Pena sospesa e, commenta ora con soddisfazione il Procuratore militare Antonino Intelisano, "principi del diritto riaffermati". Il giudizio di appello militare contro l'ex Comandante generale della Guardia di Finanza, oggi deputato del Pdl, Roberto Speciale, stabilisce che il "ponte aereo di spigole" del 26 agosto 2005 per accendere le serate in baita di una vacanza estiva nella foresteria dolomitica del Corpo a passo Rolle, non fu un atto di legittima generosità verso "dei poveri finanzieri che non ne potevano più di mangiare solo wurstel". Al contrario, fu un abuso di denaro e risorse pubbliche per riempire la pancia del Comandante generale, di sua moglie, dei consuoceri, di una coppia di amici (un generale della Finanza e consorte) e certamente di qualche povero finanziere ridotto a cameriere di quella cena.
Con la sentenza d'appello, l'affaire - svelato e documentato da un'inchiesta di "Repubblica" dell'ottobre 2007 - trova così una sua nuova conclusione penale che ribalta i due giudizi che l'avevano preceduta. Il primo processo, contabile, si era chiuso con una pronuncia della Corte dei Conti il 10 agosto del 2009 che aveva respinto una domanda risarcitoria avanzata dalla Procura di 28 mila euro, calcolata sul costo delle ore di volo e il dispendio di "mezzi terrestri" necessari al trasferimento di dieci casse di pesce fresco dall'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove erano state imbarcate, a quello di Verona (dove erano state prese in consegna dai uomini dei "baschi verdi", normalmente addetti alle operazioni antidroga), alla baita di Passo Rolle, dove l'attovagliato generale attendeva impaziente. Il secondo processo, penale, si era chiuso l'8 ottobre del 2009, con una sentenza del tribunale militare che aveva assolto Speciale ritenendo che i fatti contestati all'ex comandante generale della Finanza non costituissero reato.
Con enfasi e ostentata tracotanza, dopo le prime due assoluzioni, Speciale (che nel 2008, per i suoi servigi politici nella vicenda Visco, è stato ricompensato dal Pdl con un seggio sicuro alla Camera in un collegio dell'Umbria) aveva salutato i primi verdetti penale e contabile con parole definitive ("La verità trionfa sempre"). Di più, aveva accusato "Repubblica" di un accanimento giornalistico degno di miglior causa. Il nuovo processo (che, ora, conoscerà un ulteriore passaggio in Cassazione) conferma che quanto raccontato da questo giornale era semplicemente la verità. E in qualche modo riabilita la testimonianza e il coraggio di uno dei protagonisti di questa vicenda, il meno noto. Il maggiore della Guardia di Finanza Aldo Venditti, l'ufficiale pilota dell'Atr-42 in forza al "Gruppo eplorazione marittima" e anticontrabbando che la mattina del 26 agosto del 2005, a Pratica di Mare, dopo aver scoperto che il "volo vip" a cui era stato assegnato con destinazione Verona, altro non era che un carico di pesce fresco provò inutilmente a disobbedire, rifiutandosi di prendere la cloche.
(14 maggio 2010)
Il giudizio d'appello militare: non fu generosità ma abuso di denaro e risorse pubbliche. Fece portare il pesce da Pratica di Mare a Passo Rolle, dov'era in vacanza, con Atr della Gdfdi
di CARLO BONINI
ROMA - Un anno e sei mesi di reclusione per peculato continuato. Pena sospesa e, commenta ora con soddisfazione il Procuratore militare Antonino Intelisano, "principi del diritto riaffermati". Il giudizio di appello militare contro l'ex Comandante generale della Guardia di Finanza, oggi deputato del Pdl, Roberto Speciale, stabilisce che il "ponte aereo di spigole" del 26 agosto 2005 per accendere le serate in baita di una vacanza estiva nella foresteria dolomitica del Corpo a passo Rolle, non fu un atto di legittima generosità verso "dei poveri finanzieri che non ne potevano più di mangiare solo wurstel". Al contrario, fu un abuso di denaro e risorse pubbliche per riempire la pancia del Comandante generale, di sua moglie, dei consuoceri, di una coppia di amici (un generale della Finanza e consorte) e certamente di qualche povero finanziere ridotto a cameriere di quella cena.
Con la sentenza d'appello, l'affaire - svelato e documentato da un'inchiesta di "Repubblica" dell'ottobre 2007 - trova così una sua nuova conclusione penale che ribalta i due giudizi che l'avevano preceduta. Il primo processo, contabile, si era chiuso con una pronuncia della Corte dei Conti il 10 agosto del 2009 che aveva respinto una domanda risarcitoria avanzata dalla Procura di 28 mila euro, calcolata sul costo delle ore di volo e il dispendio di "mezzi terrestri" necessari al trasferimento di dieci casse di pesce fresco dall'aeroporto militare di Pratica di Mare, dove erano state imbarcate, a quello di Verona (dove erano state prese in consegna dai uomini dei "baschi verdi", normalmente addetti alle operazioni antidroga), alla baita di Passo Rolle, dove l'attovagliato generale attendeva impaziente. Il secondo processo, penale, si era chiuso l'8 ottobre del 2009, con una sentenza del tribunale militare che aveva assolto Speciale ritenendo che i fatti contestati all'ex comandante generale della Finanza non costituissero reato.
Con enfasi e ostentata tracotanza, dopo le prime due assoluzioni, Speciale (che nel 2008, per i suoi servigi politici nella vicenda Visco, è stato ricompensato dal Pdl con un seggio sicuro alla Camera in un collegio dell'Umbria) aveva salutato i primi verdetti penale e contabile con parole definitive ("La verità trionfa sempre"). Di più, aveva accusato "Repubblica" di un accanimento giornalistico degno di miglior causa. Il nuovo processo (che, ora, conoscerà un ulteriore passaggio in Cassazione) conferma che quanto raccontato da questo giornale era semplicemente la verità. E in qualche modo riabilita la testimonianza e il coraggio di uno dei protagonisti di questa vicenda, il meno noto. Il maggiore della Guardia di Finanza Aldo Venditti, l'ufficiale pilota dell'Atr-42 in forza al "Gruppo eplorazione marittima" e anticontrabbando che la mattina del 26 agosto del 2005, a Pratica di Mare, dopo aver scoperto che il "volo vip" a cui era stato assegnato con destinazione Verona, altro non era che un carico di pesce fresco provò inutilmente a disobbedire, rifiutandosi di prendere la cloche.
(14 maggio 2010)
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venerdì 7 maggio 2010
Michele Mezza: Londra: la Tv grande sorella, ma inutile consigliera
I risultati delle elezioni in inghilterra parlano all'Italia.Si conferma la crisi storica dell'idea socialdemocratica di correggere il capitalismo con un incremento di giustizia sociale basata sul lavoro.Ma al tempo stesso la crisi economica porta l'intero comparto dei dipedenti a serrare le fila e Gordon Brown perde meno del previsto. Ma il dato più interessante è forse quello del mancato boom dei libelraldemocratici. Nick Clegg, sulla base delle sue performances televisive, era diventato il fenomeno del momento. Grazie alla sua appariscenza, addirittura eminenti politologi avevano modificato le più affermnate analisi politiche: centralità del terzo polo, le borghesie metropolitane come ceto trainante ecc. In Italia, i soliti vedovi della politica - politica, surrogata con gli indici di ascolto di Santoro, si erano già preparati convegni in serie, sul tema: la TV cambia la democrazia. I dati reali, come al solito, smentiscono gli improvvisatori, e anche i furbi. Nick Clegg rimane quello che era: "nu' bellu guaglione", avrebbe detto Romano Prodi. La Televisione non sostituisce la politica, e tanto meno stravolge la democrazia, sopratutto oggi. Le performance televisive fanno arrotondare le percentuali di voto, ma non le creano. Impongono un personaggio, ma non proteggono. La Tv è una scorciatoia, gigantesca, ma devi sapere dove andare e come. Questo potrebbe aiutare a far piazza pulita delle solite illusioni: abbiamo perso perchè non sappiamo comunicare, quello ha vinto perchè ha la Tv, dobbiamo trovare uno che buca lo schermo.Dietro a queste bubbole corriamo da 20 anni. Esattamente da quando pigliamo schiaffoni a josa. Dall'Inghilterra ci arriva l'ennesima lezione: la Tv vende al meglio quello che c'è, quello che non c'è non regge. tanto più oggi che la Tv è sempre meno centrale, sempre più una parte del sistema mediatico, e i cittadoini hanno infinite occasioni di accorciare le distanze con la politica. sarebbe bene ricordarlo, quando sulla base di una battuta in televisione, o , peggio, di una battutaccia, ci sentiamo in ripresa, deduciamo che il ciclo negativo è cambiato, che ci stiamo scegliando. La tentazione è tipica di chi vuole identificare nella scorciatoia il motivo del viaggio. Mi rendo conto che è più facile, ma è improduttivo. La cosa che colpisce poi, ma neanche tanto, è come proiprio a sinistra, si sia introiettata questa cultura, dell'apparenza, abbondonando l'unico lascito del passato che vale ancora oro: la cultura della lettura dei processi sociali. Vedere che al Manifesto si nomina un direttore, assolutamente capace e preparato intendiamoci, sulla base delle sua televisionabilità, vedere che nel gruppo dirigente del PD si continua a misurare la capacità di direzione con le comparsate in Tv, vedere che il botta e risposta televisivo è considerato l'unico terreno per affermare un'idea alternativa, rende davvero tristi e pessimisti. Sarebbe bene ricordare, per capire come la Tv a volte sia solo una trappola, il detto di Wiston Churchil: "poche persone possono improgliare tante persone per qualche tempo, molte persone possono imbrogliare poche persone per più tempo.Ma Mai tante persone si faranno imbrogliare da poche per molto tempo". Chiediamoci allora perchè in Italia le poche persone che sappiamo da 15 anni riescono a imbrogliare il paese: o siamo l'eccezione alla regola, e la Tv decide tutto, o siamo la regola, e quando si è in due, uno vince perchè l'altro non riesce che a perdere
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giovedì 6 maggio 2010
DIVAGAZIONI SEMISERIE SUL PARTITO DEMOCRATICO di Gianluca Foresi
Il partito democratico in cerca di un identità, lascia troppo spesso spazio alle identità in cerca di un partito. Viene in mente l’opera di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore. Sembra che ci sia una massa variegata e multiforme, appartenuta alle più disparate esperienze politiche, in cerca di una collocazione all’interno di questa nuova formazione di centro-sinistra ricerca che rende la formazione stessa instabile e e debole. Questa creatura, che forse è nata pre-matura, non riesce ad avere una forma e purtroppo nemmeno un contenuto, almeno per il momento, che possa riempire di senso le domande, le richieste che i cittadini e il paese le stanno rivolgendo. La tanto sbandierata pluralità sembra ormai, o lo è sempre stata sin dagli albori della sua nascita ( pensate due anni orsono), essere solo di facciata, che diventa sfacciata quando a decidere non è la maggioranza o almeno i molti che si battono per una trasparente azione politica, ma il drappello dei soliti oligarchi noti, che da un ventennio (ogni riferimento è puramente voluto) invadono incontinentemente i consigli, le assemblee, le segreterie, e i vari circoli locali.
Che cosa è dunque il partito democratico? Un puzzle formato dai pezzi di mille puzzle differenti?
Un minestrone riscaldato composto dalle verdure avanzate dal giorno prima…repubblica? Una Helzappoppin piena di tutta una serie di individui alla ricerca di una loro dimensione, di una loro collocazione, non certo fisica, ma soprattutto psicologica? Chi sono io? Che ci faccio qui? Dubbi che farebbero impallidire il principe di Danimarca Amleto: essere o non essere. Sarebbe meglio dire: Tessere o non Tessere…di partito.
Quindi per quel che concerne lo spirito che abita i centrosinistrati c’è grande confusione. Il problema si fa dilemma, il dilemma si fa tragedia, anzi tragicommedia.
Quante anime abitano il partito democratico? L’elenco è lungo:cattolici laicizzati, laici catechizzati, operai industrializzati, borghesi sessantottini, eredi di marx ma sopratutto del suo capitale, morotei paonazzi , pronipoti di Mao, rivoluzionari andreottiani, socialisti indivuduali, scudocrociati, martellofalciati, creazionisti evoluti, darwiniani creativi., veterotestamentari ,
v-eterosessuali, , ex-post comunisti, Democristiani ante litteram; di centro, di sinistra, di destra di sotto, di sopra: sottosopra. C’è chi vuole il testamento bio-logico, chi invece vorrebbe il testamento Bi-logico e per favorire quelli che sono per l’accanimento terapeutico, e per non scontentare quelli che vorrebero una fine naturale.
Un'altra questione che investe questo partito è quella della difficoltà di capire con chiarezza quale sia, all’interno del medesimo schieramento, il nemico, o l’alleato, il dentro e il fuori, quale sia il giusto o l’ingiusto, c’è uno spostamento continuo dell’orizzonte di tutte queste categorie; un proliferare di speci e sottospeci, che vivono all’interno del bioparco democratico. Sembra che chi abbia aderito al partito non sappia bene a quale di queste specie appartenga, o meglio, voglia appartenere. I confini fra le correnti sono estremamenti labili, sovrapponibili, si confondono come in un magma indistinto, primordiale. Tutto sembra ricordare l’esatto momento che ha preceduto il big bang: il Caos. Da un momento all’altro attendiamo trepidanti l’esplosione che darà vita all’ordine, temiamo sarà piuttosto un implosione.
Che cosa è dunque il partito democratico? Un puzzle formato dai pezzi di mille puzzle differenti?
Un minestrone riscaldato composto dalle verdure avanzate dal giorno prima…repubblica? Una Helzappoppin piena di tutta una serie di individui alla ricerca di una loro dimensione, di una loro collocazione, non certo fisica, ma soprattutto psicologica? Chi sono io? Che ci faccio qui? Dubbi che farebbero impallidire il principe di Danimarca Amleto: essere o non essere. Sarebbe meglio dire: Tessere o non Tessere…di partito.
Quindi per quel che concerne lo spirito che abita i centrosinistrati c’è grande confusione. Il problema si fa dilemma, il dilemma si fa tragedia, anzi tragicommedia.
Quante anime abitano il partito democratico? L’elenco è lungo:cattolici laicizzati, laici catechizzati, operai industrializzati, borghesi sessantottini, eredi di marx ma sopratutto del suo capitale, morotei paonazzi , pronipoti di Mao, rivoluzionari andreottiani, socialisti indivuduali, scudocrociati, martellofalciati, creazionisti evoluti, darwiniani creativi., veterotestamentari ,
v-eterosessuali, , ex-post comunisti, Democristiani ante litteram; di centro, di sinistra, di destra di sotto, di sopra: sottosopra. C’è chi vuole il testamento bio-logico, chi invece vorrebbe il testamento Bi-logico e per favorire quelli che sono per l’accanimento terapeutico, e per non scontentare quelli che vorrebero una fine naturale.
Un'altra questione che investe questo partito è quella della difficoltà di capire con chiarezza quale sia, all’interno del medesimo schieramento, il nemico, o l’alleato, il dentro e il fuori, quale sia il giusto o l’ingiusto, c’è uno spostamento continuo dell’orizzonte di tutte queste categorie; un proliferare di speci e sottospeci, che vivono all’interno del bioparco democratico. Sembra che chi abbia aderito al partito non sappia bene a quale di queste specie appartenga, o meglio, voglia appartenere. I confini fra le correnti sono estremamenti labili, sovrapponibili, si confondono come in un magma indistinto, primordiale. Tutto sembra ricordare l’esatto momento che ha preceduto il big bang: il Caos. Da un momento all’altro attendiamo trepidanti l’esplosione che darà vita all’ordine, temiamo sarà piuttosto un implosione.
martedì 27 aprile 2010
27 APRILE 1937 : Dopo undici anni di prigionia fascista muore ANTONIO GRAMSCI
ANTONIO GRAMSCI
Fondatore del Pci morto in prigione
Il 27 aprile 1937, dopo undici anni di prigionia muore Antonio Gramsci fondatore del Partito comunista italiano.
Nato nel 1891 da una famiglia sarda, iniziò a leggere la stampa socialista al liceo Dettori di Cagliari dove partecipò con i suoi compagni alle “battaglie” per l’affermazione del libero pensiero e a discussioni di carattere culturale e politico. Cagliari, in quel tempo, era una cittadina culturalmente vivace, dove si diffusero i primi fermenti sociali che influirono notevolmente sulla sua formazione. Conseguita la licenza liceale, nel 1911 vinse una borsa di studio per l’università di Torino. Si trasferì così in al nord e si iscrive alla facoltà di Lettere, in un periodo di forti agitazioni sociali che alimentano la sua ideologia socialista.
Gli interessi politici lo vedono organizzatore instancabile di numerose iniziative tanto da andare in Russia e sposarsi a Mosca con una violinista di talento che gli darà due figli per i quali, dal carcere italiano di cui in seguito patirà i rigori, scriverà una serie di commoventi favole pubblicate con il titolo «L’albero del riccio».
Nel frattempo si convinse della necessità di dar vita a un partito nuovo, secondo le direttive di scissione già indicate dall’Internazionale comunista. Nel gennaio del 1921 si aprì a Livorno il 17^ congresso nazionale del Psi; le divergenze tra i vari gruppi (massimalisti, riformisti…) inducono l’intellettuale italiano e la minoranza dei comunisti a staccarsi definitivamente dai socialisti. Nello stesso mese di quell’anno nacque il Partito comunista d’Italia di cui Gramsci fu un membro del Comitato centrale.
Nel 1926 venne arrestato dalla polizia fascista nonostante l’immunità parlamentare. Il re e Mussolini, intanto, sciolsero la Camera dei deputati, mettendo fuori legge i comunisti. Gramsci e tutti i deputati comunisti vennero processati e confinati: Gramsci inizialmente nell’isola di Ustica poi, successivamente, nel carcere di Civitavecchia e Turi. Non essendo adeguatamente curato fu abbandonato al lento spegnimento fra sofferenze fisiche e morali.
Morì nel 1937, dopo undici anni di prigionia, senza aver mai rivisto i figli. Negli anni della reclusione scrisse 32 quaderni di studi filosofici e politici, definiti una delle opere più alte e acute del secolo; pubblicati da Einaudi nel dopoguerra, sono noti universalmente come i «Quaderni dal carcere», e godono tuttora di innumerevoli traduzioni e di altissima considerazione presso gli intellettuali di tutti i Paesi.
sabato 10 aprile 2010
CONTI ORVIETO : Olimpieri propone un bilancio alla Mocio
Nella riunione dei capigruppo del Comune d’Orvieto svolta il 9 aprile, Stefano Olimpieri ha finalmente avanzato una sua proposta. In sostanza cerca di riportare tutto al novembre 2009, cioè ai tagli ed alle tasse di Romiti, accompagnati dall'avvio della dismissione della caserma. Questa della dismissione della caserma dovrebbe far quadrare i conti ed è una vera ossessione della destra che in tutti questi mesi ( per non dire anni se si considera il mandato FELLA) non è riuscita a tirare fuori uno straccio d'idea in materia.
Che il nostro capogruppo del PdL non brillasse in fantasia lo avevamo capito, ma che si avventurasse in una proposta sballata tecnicamente e pericolosa per l'economia cittadina non lo avevamo previsto.
A meno che ....
A meno che non si perseguono altri obbiettivi come quello di far saltare il confronto in atto tra maggioranza ed opposizione e riconquistare la palma di DISFATTISTA ora saldamente in mano all'avv. Ranchino.
Una sfida all'ultimo sangue sulla guida del centro destra, destinata ad impegnare le attuali forze di governo d’Orvieto in una lotta senza quartiere destinata ad allontanare se non addirittura a far fallire qualsiasi soluzione ragionevole alla grave situazione finanziaria del comune d’Orvieto.
Del resto sembra il clima prevalente dal punto di vista politico. L'Italia dei Valori Orvietana festeggia il buon risultato elettorale annunciando che se tutto il centro sinistra non seguirà le sue indicazioni se ne andrà per proprio conto.
Rimane la proposta del Gruppo PD ( http://gruppopdorvieto.files.wordpress.com/2010/03/bilancio-gruppo-pd-orvieto.pdf) , l'unica che cerca di coniugare risanamento e sviluppo. Certamente si deve avviare il risanamento finanziario del Comune ma non si po' strozzare l'economia cittadina.
Aumentare sensibilmente la TARSU, tagliare i servizi o licenziare il persoale è l'esatto contrario di quello che serve oggi. Come del resto parlare di dismissione della caserma senza dire come e perchè vuol dire solo continuare a perseguire l'errore compiuto fino ad oggi e pregiudicare il futuro
Che il nostro capogruppo del PdL non brillasse in fantasia lo avevamo capito, ma che si avventurasse in una proposta sballata tecnicamente e pericolosa per l'economia cittadina non lo avevamo previsto.
A meno che ....
A meno che non si perseguono altri obbiettivi come quello di far saltare il confronto in atto tra maggioranza ed opposizione e riconquistare la palma di DISFATTISTA ora saldamente in mano all'avv. Ranchino.
Una sfida all'ultimo sangue sulla guida del centro destra, destinata ad impegnare le attuali forze di governo d’Orvieto in una lotta senza quartiere destinata ad allontanare se non addirittura a far fallire qualsiasi soluzione ragionevole alla grave situazione finanziaria del comune d’Orvieto.
Del resto sembra il clima prevalente dal punto di vista politico. L'Italia dei Valori Orvietana festeggia il buon risultato elettorale annunciando che se tutto il centro sinistra non seguirà le sue indicazioni se ne andrà per proprio conto.
Rimane la proposta del Gruppo PD ( http://gruppopdorvieto.files.wordpress.com/2010/03/bilancio-gruppo-pd-orvieto.pdf) , l'unica che cerca di coniugare risanamento e sviluppo. Certamente si deve avviare il risanamento finanziario del Comune ma non si po' strozzare l'economia cittadina.
Aumentare sensibilmente la TARSU, tagliare i servizi o licenziare il persoale è l'esatto contrario di quello che serve oggi. Come del resto parlare di dismissione della caserma senza dire come e perchè vuol dire solo continuare a perseguire l'errore compiuto fino ad oggi e pregiudicare il futuro
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venerdì 2 aprile 2010
Michele Mezza: I GENDARMI DEI DUE BIDONI
Trovo interessante le considerazioni di Panebianco di ieri sul Corriere della Sera circa il voto. In particolare sulla facilità con la quale la Lega riesce a sostituirsi alla macchina PCI nel tessuto sociale organizzato in Emilia e in Toscana.
Questo rimanda ad una riflessione di fondo: oggi un radicamento diretto nel tessuto sociale produttivo, nel mondo del lavoro, dove ci porta? Ormai sono portato a pensare che la Lega sia l'unica risposta a questa domanda.
Un lavoratore che non ha più l'orizzonte di una trasfigurazione sociale, diciamo della rivoluzione, cosa deve sperare se non che la sua azienda,che l'imprenditore, che il suo territorio si possano sviluppare in modo da poter concorrere ad una spartizione di un insieme di risorse più consistente?
Questo sembra ora il meccanismo pervasivo che spinge la Lega ad insinuarsi in ogni anfratto sociale. Dalla Brianza, alla fascia pedemontana che scorre orizzontalmente lungo la fascia intermedia di Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Padova, verso est, ed ora anche Novara, Cuneo, Alessandria e Torino, verso ovest. E ancora Piacenza, Parma, Reggio, Modena e Bologna a sud.
Questo ci dovrebbe finalmente far riflettere su quale sia oggi il radicamento sociale più coerente per una proposta culturale riformatrice e libertaria.
Io credo che il lavoro, inteso in senso tradizionale, l'insieme delle figure manifatturiere oggi abbiano mutato ruolo, segno ed ambizione. Non sono più agenti di una liberazione sociale. Sono fattori di una corporativizzazione moderna, di quel patto fordista che oggi spinge i territori a contendersi spezzoni di mercato.
I podromi di questo schieramento erano scesi nelle strade di Seattle, dieci anni fa, per ostruire i processi di globalizzazione. La Lega ne è l'erede e il propulsore. In Italia con Bossi, in Francia con Bovet, In Russia con Putin, in Inghilterra con Brown.
Questa a mio parere è la nuova geografia politica rispetto alla quale bisogna riqualificarsi.
La sinistra da che parte sta? Obama sta dalla parte di una competizione a tutto campo, a partire dal sapere. Anche se continua a dover tenere sotto controllo il mondo corporativo del lavoro industriale americano.
In Italia è singolare come la Lega presidi oggi due segmnenti dell'attività economica, entrambi protetti e finanziati dal pubblico: l'agricoltura e le imprese di trasformazione.
Dobbiamo capire che dinamica questi settori innestano: l'agricoltura è uno scandalo, succhia il 40% del bilancio europeo per sostenere i territori più ricchi del mondo (la Baviera, l'Olanda, le valli del Reno e della Moselkla e la Padania) per sbarrare il passo ai prodotti delle agricolture povere (nord africa e America Latina), che si vendicano esportando disperati che arrivano da noi.
Le aziende trasformatrici lavorano sotto costo con salari in nero (extra europei, o i salari ufficiali più bassi d'europa).
Possiamo essere anche noi i gendarmi di questi due bidoni? Non a caso se questo è il modello egemone è chiaro che la Lega che ne è il legittimo rappresentante vince.
Credo che si debba ripartire da qui, non dalla segreteria del PD e neanche dal suo gruppo parlamentare. Anche se poi lì bisognerà arrivare.
lunedì 29 marzo 2010
L’ORVIETANO RICONQUISTA IL CONSIGLIERE REGIONALE
Fausto Galanello con 4.103 voti diventa consigliere regionale. Con la sua elezione l’orvietano riconquista una postazione importante nel panorama politico istituzionale regionale.
Sono risultati vincenti la ritrovata unità del PD Orvietano e la richiesta di un voto utile per ridare rappresentanza regionale al territorio.
Ma il largo successo premia anche la figura politica di Galanello che si è presentato con semplicità, parlando dei problemi e delle opportunità dell’orvietano, incontrando tutti e dialogando anche con forze lontane dai democratici.
Questo messaggio è stato raccolto da una realtà locale in grande difficoltà e alla ricerca di una nuova stabilità.
Tutto il territorio ha risposto compatto con l’eccezione di Ficulle dove anche il voto regionale ha evidenziato vistose lacerazioni politiche.
Altro dato significativo la presenza elettorale di Galanello in tutta la provincia. Insieme a Brega è l’unico candidao che praticamente prende voti in tutti i comuni.
Ma il PD ha centrato anche altri obbiettivi molto importanti.
Ad Orvieto torna ad essere il primo partitocon il 38,62% controil 32,78% del PDL, mentre la coalizione di Centro Sinistra raggiunge il 61%.
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martedì 9 marzo 2010
Alla luce del sole
Il Sindaco Concina festeggia in questi giorni il suo primo compleanno di notorietà locale; fino a marzo dello scorso anno nessuno lo conosceva in Città. “Conci chi?” scrisse un tal Savonarola, anonimo commentatore, non appena fu data la notizia dalla stampa.
Comprensibile, anche perché i motori di ricerca non davano di lui che pochissime notizie: pianista a Cortina sul sito degli amici della perla delle Dolomiti, “pattugliatore di salotti in” su un blog degli ex alunni della Nunziatella e una foto su Dagospia. Null’altro. Che so, impegni politici, nel volontariato. Per dire, qualcosa di sociale. Nulla.
Diventato Sindaco la notorietà è aumentata e anche le sue uscite pubbliche. Un fiume di interviste, comunicati stampa, dichiarazioni, su giornali locali nonché timidi tentativi su network nazionali.
Così, di giorno in giorno, il Sindaco Concina si è rivelato. Grande comunicatore, fu detto in campagna elettorale. È vero, non abbiamo mai avuto nella storia della Città un così grande comunicatore (quanto poi se ne sentisse l’esigenza è un’altra storia). Basterebbe controllare le news sul sito del Comune per rendersi conto quanto egli abbia scritto, parlato, dichiarato. È un esercizio interessante che consente di tracciare anche il profilo del personaggio.
“Invito a fare attenzione su come si usano le parole” disse l’8 gennaio scorso, durante il Consiglio comunale che gli bocciò il Patto con Roma, e non perché i consiglieri fossero contrari all’idea ma semplicemente perché era scritto male e privo di senso, tanto è vero che fu riscritto dal PD salvandone i contenuti essenziali e fu approvato all’unanimità. “Sciocco tentativo di alimentare sciocche polemiche” dice oggi il Sindaco Concina. Non è proprio una bella frase, sicuramente non in bocca ad un uomo delle istituzioni, certamente non contro i giornalisti che fanno il loro mestiere. “Le parole sono importanti” disse Nanni Moretti nel film Palombella Rossa; “chi parla male, pensa male e vive male”.
Ma al Sindaco Concina il Consiglio comunale non fu sufficiente, perché scarsamente seguito dalla collettività. Il vero comunicatore deve parlare urbi et orbi, per questo ancora adirato per la bocciatura del patto il Sindaco Concina convocò il giorno seguente una conferenza stampa e disse, tra l’altro: si trattava di “un protocollo d’intesa da sviluppare ed elaborare pariteticamente e alla luce del sole. Ma forse il concetto ‘alla luce del sole’ sfugge ad altri interlocutori”. Disse proprio così (comunicato stampa 019/10, Comune di Orvieto), mentre oggi parla di una non ben definita riservatezza: da parte chi poi, su cosa e perché? Ce lo dica lei, Sindaco Concina, qual è il concetto “alla luce del sole”. Oppure dobbiamo attendere un decreto interpretativo della Giunta?
Comprensibile, anche perché i motori di ricerca non davano di lui che pochissime notizie: pianista a Cortina sul sito degli amici della perla delle Dolomiti, “pattugliatore di salotti in” su un blog degli ex alunni della Nunziatella e una foto su Dagospia. Null’altro. Che so, impegni politici, nel volontariato. Per dire, qualcosa di sociale. Nulla.
Diventato Sindaco la notorietà è aumentata e anche le sue uscite pubbliche. Un fiume di interviste, comunicati stampa, dichiarazioni, su giornali locali nonché timidi tentativi su network nazionali.
Così, di giorno in giorno, il Sindaco Concina si è rivelato. Grande comunicatore, fu detto in campagna elettorale. È vero, non abbiamo mai avuto nella storia della Città un così grande comunicatore (quanto poi se ne sentisse l’esigenza è un’altra storia). Basterebbe controllare le news sul sito del Comune per rendersi conto quanto egli abbia scritto, parlato, dichiarato. È un esercizio interessante che consente di tracciare anche il profilo del personaggio.
“Invito a fare attenzione su come si usano le parole” disse l’8 gennaio scorso, durante il Consiglio comunale che gli bocciò il Patto con Roma, e non perché i consiglieri fossero contrari all’idea ma semplicemente perché era scritto male e privo di senso, tanto è vero che fu riscritto dal PD salvandone i contenuti essenziali e fu approvato all’unanimità. “Sciocco tentativo di alimentare sciocche polemiche” dice oggi il Sindaco Concina. Non è proprio una bella frase, sicuramente non in bocca ad un uomo delle istituzioni, certamente non contro i giornalisti che fanno il loro mestiere. “Le parole sono importanti” disse Nanni Moretti nel film Palombella Rossa; “chi parla male, pensa male e vive male”.
Ma al Sindaco Concina il Consiglio comunale non fu sufficiente, perché scarsamente seguito dalla collettività. Il vero comunicatore deve parlare urbi et orbi, per questo ancora adirato per la bocciatura del patto il Sindaco Concina convocò il giorno seguente una conferenza stampa e disse, tra l’altro: si trattava di “un protocollo d’intesa da sviluppare ed elaborare pariteticamente e alla luce del sole. Ma forse il concetto ‘alla luce del sole’ sfugge ad altri interlocutori”. Disse proprio così (comunicato stampa 019/10, Comune di Orvieto), mentre oggi parla di una non ben definita riservatezza: da parte chi poi, su cosa e perché? Ce lo dica lei, Sindaco Concina, qual è il concetto “alla luce del sole”. Oppure dobbiamo attendere un decreto interpretativo della Giunta?
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giovedì 4 marzo 2010
www.orvietodemocratica.org : segui il tuo deputato
ORVIETODEMOCRATICA ha linkato un servizio della Camera dei Deputati che permette di seguire l’attività di tutti i parlamentari. Gli orvietani avranno la possibilità di sapere cosa fà, come vota, quali leggi propone o sostiene l’on Carlo Emanuele Trappolino.
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Carlo Emanuele Trappolino
martedì 23 febbraio 2010
Riciclaggio di denaro sporco, coinvolti nell'inchiesta anche funzionari e amministratori delle società Telecom Italia Sparkle e Fastweb
da www.repubblica.it
Cinquantasei le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Roma. Arrestato anche un maggiore
della Guardia di Finanza. Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere e frode fiscale
Riciclaggio di denaro sporco
ricercati Silvio Scaglia e Di Girolamo
Il senatore del Pdl è coinvolto nell'indagine per via della sua elezione in un collegio all'estero favorita dalla 'ndrangheta, ottenuta grazie all'appoggio di alcuni degli arrestati, ai quali garantiva la 'copertura'. Danno per lo Stato per oltre 365 milioni
Riciclaggio di denaro sporco ricercati Silvio Scaglia e Di Girolamo
Silvio Scaglia
ROMA - Una colossale operazione di riciclaggio di denaro sporco per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro è stata scoperta dai carabinieri del Ros e dalle Fiamme Gialle: 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Roma su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. Ordine d'arresto anche per Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb. Il provvedimento restrittivo, però, non è stato ancora eseguito perché Scaglia non è stato rintracciato dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza. L'imprenditore, che in una nota inviata alle agenzie di stampa si dice estraneo a qualunque reato, ha dato mandato ai suoi difensori di concordare il suo interrogatorio nei tempi più brevi per chiarire tutti i profili della vicenda.
Le accuse per tutti gli indagati sono di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di ingentissimi capitali illecitamente acquisiti attraverso un complesso sistema di frodi fiscali. In manette anche un ufficiale della guardia di Finanza, Luca Berriola, attualmente in servizio al comando di tutela finanza pubblica, che avrebbe incassato una cospicua tangente su una delle operazioni di riciclaggio.
Richiesta d'arresto anche per il senatore Nicola Di Girolamo (Pdl). Il senatore sarebbe collegato con alcuni degli indagati, che avrebbero favorito la sua elezione in un collegio all'estero. In particolare gli inquirenti fanno riferimento a una riunione tenuta dallo stesso Di Girolamo da Gennaro Mokbel (uno dei 56 arrestati) e da esponenti della famiglia Arena, nel corso della quale si concordò di sostenere la sua elezione, facendo confluire su di lui i voti dei calabresi in Germania. La 'ndrangheta riuscì a venire in possesso di moltissime schede elettorali, che compilò direttamente con il nome di Di Girolamo (circostanza che era già emersa da una precedente inchiesta: l'arresto di Di Girolamo era già stato chiesto nel 2008 alla Giunta delle Autorizzazioni a procedere). In base alle accuse l'elezione di Di Girolamo doveva servire all'organizzazione criminale per spostarsi, senza problemi nell'ambito delle attività transnazionali di riciclaggio.
Il filone principale dell'indagine riguarda alti funzionari ed amministratori delle società Telecom Italia Sparkle e Fastweb accusati, con riferimento a un arco temporale che va dal 2003 al 2006, di falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici inesistenti, venduti nell'ambito di due successive operazioni commerciali dalle compagini italiane Cmc e Web Wizzard srl nonchè da I-Globe e Planetarium, che evadevano il pagamento dell'Iva per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro, trasferendoli poi fraudolentemente all'estero, dove i soldi venivano reinvestiti in beni come appartamenti, gioielli e automobili.
Alcuni indagati sono raggiunti da un provvedimento restrittivo in Usa, Gran Bretagna (Scaglia) e Lussemburgo. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese ed off-shore, controllate dall'organizzazione indagata.
Stando ai carabinieri del Ros e alla polizia valutaria della Guardia di Finanza, lo Stato avrebbe subito un danno per oltre 365milioni di euro derivanti dal mancato versamento dell'Iva, attraverso l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per più di 1.800.000.000 euro da parte delle società di telecomunicazione, che hanno ottenuto fittizi crediti Iva, oltre che un utile pari a quasi 96milioni di euro.
(23 febbraio 2010)
Cinquantasei le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Roma. Arrestato anche un maggiore
della Guardia di Finanza. Gli indagati sono accusati di associazione a delinquere e frode fiscale
Riciclaggio di denaro sporco
ricercati Silvio Scaglia e Di Girolamo
Il senatore del Pdl è coinvolto nell'indagine per via della sua elezione in un collegio all'estero favorita dalla 'ndrangheta, ottenuta grazie all'appoggio di alcuni degli arrestati, ai quali garantiva la 'copertura'. Danno per lo Stato per oltre 365 milioni
Riciclaggio di denaro sporco ricercati Silvio Scaglia e Di Girolamo
Silvio Scaglia
ROMA - Una colossale operazione di riciclaggio di denaro sporco per un ammontare complessivo di circa due miliardi di euro è stata scoperta dai carabinieri del Ros e dalle Fiamme Gialle: 56 le ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Roma su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia. Ordine d'arresto anche per Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb. Il provvedimento restrittivo, però, non è stato ancora eseguito perché Scaglia non è stato rintracciato dai carabinieri del Ros e dalla Guardia di Finanza. L'imprenditore, che in una nota inviata alle agenzie di stampa si dice estraneo a qualunque reato, ha dato mandato ai suoi difensori di concordare il suo interrogatorio nei tempi più brevi per chiarire tutti i profili della vicenda.
Le accuse per tutti gli indagati sono di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di ingentissimi capitali illecitamente acquisiti attraverso un complesso sistema di frodi fiscali. In manette anche un ufficiale della guardia di Finanza, Luca Berriola, attualmente in servizio al comando di tutela finanza pubblica, che avrebbe incassato una cospicua tangente su una delle operazioni di riciclaggio.
Richiesta d'arresto anche per il senatore Nicola Di Girolamo (Pdl). Il senatore sarebbe collegato con alcuni degli indagati, che avrebbero favorito la sua elezione in un collegio all'estero. In particolare gli inquirenti fanno riferimento a una riunione tenuta dallo stesso Di Girolamo da Gennaro Mokbel (uno dei 56 arrestati) e da esponenti della famiglia Arena, nel corso della quale si concordò di sostenere la sua elezione, facendo confluire su di lui i voti dei calabresi in Germania. La 'ndrangheta riuscì a venire in possesso di moltissime schede elettorali, che compilò direttamente con il nome di Di Girolamo (circostanza che era già emersa da una precedente inchiesta: l'arresto di Di Girolamo era già stato chiesto nel 2008 alla Giunta delle Autorizzazioni a procedere). In base alle accuse l'elezione di Di Girolamo doveva servire all'organizzazione criminale per spostarsi, senza problemi nell'ambito delle attività transnazionali di riciclaggio.
Il filone principale dell'indagine riguarda alti funzionari ed amministratori delle società Telecom Italia Sparkle e Fastweb accusati, con riferimento a un arco temporale che va dal 2003 al 2006, di falsa fatturazione di servizi telefonici e telematici inesistenti, venduti nell'ambito di due successive operazioni commerciali dalle compagini italiane Cmc e Web Wizzard srl nonchè da I-Globe e Planetarium, che evadevano il pagamento dell'Iva per un ammontare complessivo di circa 400 milioni di euro, trasferendoli poi fraudolentemente all'estero, dove i soldi venivano reinvestiti in beni come appartamenti, gioielli e automobili.
Alcuni indagati sono raggiunti da un provvedimento restrittivo in Usa, Gran Bretagna (Scaglia) e Lussemburgo. Per realizzare la colossale operazione di riciclaggio, il sodalizio si è avvalso di società di comodo di diritto italiano, inglese, panamense, finlandese, lussemburghese ed off-shore, controllate dall'organizzazione indagata.
Stando ai carabinieri del Ros e alla polizia valutaria della Guardia di Finanza, lo Stato avrebbe subito un danno per oltre 365milioni di euro derivanti dal mancato versamento dell'Iva, attraverso l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per più di 1.800.000.000 euro da parte delle società di telecomunicazione, che hanno ottenuto fittizi crediti Iva, oltre che un utile pari a quasi 96milioni di euro.
(23 febbraio 2010)
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domenica 21 febbraio 2010
"Sistema Bertolaso: fare dell’emergenza la norma apre il varco all’illegalità" di Laura Garavini
Per il sottosegretario Bertolaso i giornali e tutti coloro che lo hanno criticato avrebbero gettato fango su tutta l’organizzazione della Protezione Civile. Niente di più sbagliato. Né i giornali, né i magistrati, né l’opposizione hanno danneggiato l’immagine della Protezione Civile. I pm e i giornali non hanno fatto altro che mettere in luce i comportamenti scandalosi di certe persone. Il danno all’immagine della Protezione Civile non lo hanno procurato i pm, né i giornali, e tantomento la opposizione, ma solo ed esclusivamente quei dirigenti ed imprenditori che con nepotismi vergognosi, con regali illeciti, con risate sulla sofferenza delle vittime del terremoto hanno abusato del buon nome della Protezione Civile. Sono loro quelli che hanno preso a calci questo buon nome; sono loro che hanno sporcato il lavoro di decine di migliaia di brave donne e bravi uomini che danno l’anima per aiutare, in situazioni di emergenza e che rappresentano una parte preziosissima del nostro paese, ricevendo tutta la nostra stima, in passato, oggi ed in futuro.
E la responsabilità oggettiva – indipendentemente da presunti sbagli personali – la responsabilità oggettiva per ciò che succede in questi giorni alla rinomatissima Protezione Civile è di chi sta guidando questa organizzazione con poteri assoluti, cioè dello stesso sottosegretario Bertolaso.
I problemi con cui abbiamo a che fare in questo scandalo hanno come nocciolo un problema strutturale. Un problema che noi dell´opposizione abbiamo portato in aula già due settimane fa denunciando un sistema del tipo: "tutta emergenza – niente controllo".
A nome del Pd 14 giorni fa ho rivolto un’interpellanza urgente al sottosegretario Bertolaso che lamentava proprio i rischi che corriamo in un sistema che ha tutti i poteri e non deve sottoporsi a nessun controllo. Avevamo denunciato il problema delle infiltrazioni mafiose negli appalti in Abruzzo gestiti dalla Protezione Civile – un altro esempio della deriva a cui può condurre un sistema senza controllo.
Di questo si parla troppo poco in questi giorni, ma il sistema Bertolaso ha portato anche a questo. Le forze dell’ordine hanno denunciato in Abruzzo diverse irregolarità nell´assegnazione di numerosi appalti da parte del vertice della Protezione Civile nella ricostruzione dell´Aquila. Grazie a queste irregolarità, diverse centinaia di migliaia di Euro sono stati assegnati in subappalto ad aziende mafiose. La dimostrazione lampante che l´emergenza è il terreno migliore su cui prolifera la speculazione, la furbizia, l´interesse della criminalità organizzata.
Sappiamo, nero su bianco, che per almeno 132 aziende, costruttrici del progetto Case, le forze dell´ordine hanno accertato il reato di `subappalto non autorizzato`. La Protezione civile, infatti, non ha adempiuto ai propri obblighi di controllo delle ditte subappaltatrici e di successiva autorizzazione dell´inizio dei lavori. E come se ciò non bastasse: La Protezione Civile ha cercato di sottrarsi ad ogni denuncia trincerandosi dietro un´ordinanza (12.11.09) retroattiva con la quale ha cercato di nascondere le sue inadempienze.
A seguito degli accertamenti fatti dalle forze dell´ordine, 6 aziende sono state segnalate all´autorità giudiziaria. Ad una di esse è già stato ritirato il certificato antimafia e le è stato revocato il subappalto. Nota bene: La metà (!) dei suoi dipendenti risultava infatti avere precedenti penali!. In un´altra azienda il titolare è risultato essere socio di personaggi riconducibili a Cosa nostra.
L´assenza dei doverosi controlli da parte della Protezione Civile ha dunque favorito, contrariamente a quanto dichiarato nei giorni scorsi da Gianni Letta, l´infiltrazione della malavita nella ricostruzione post terremoto in Abruzzo.
E´ un esempio. Ma un esempio reale, di che cosa possa significare creare un sistema che fa dell´emergenza la regola, che butta alle ortiche ogni forma di controllo e di vincolo, e impone un regime autoritario a colpi di ordinanze, su ogni cosa.
Le vicende che sono venute alla luce attraverso lo scandalo degli ultimi giorni rivela come sia stato un errore, negli ultimi anni, attribuire alla Protezione civile l´organizzazione di tutta una serie di avvenimenti che nulla più avevano a che fare con l`emergenza. Non più solo terremoti, alluvioni, slavine, disastri naturali, ma eventi di ogni tipo: dal G8 della Maddalena alle Olimpiadi invernali di Torino, dai Mondiali di Nuoto al 150° anniversario dell´Unitá d´Italia, dalla canonizzazione di Padre Pio alla beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, dal Semestre di presidenza italiana alla Unione Europea all´Expo 2015.
Tutto all´insegna dell´emergenza, tutto nelle mani della Protezione civile, messa nelle condizioni di potere operare in deroga ai piani regolatori, alle norme di trasparenza degli appalti, alle leggi di tutela ambientale, paesaggistico, archeologico. Un potere enorme, svincolato da ogni controllo.
Ecco perché ci siamo battuti per evitare la creazione di una Protezione civile Spa. Proprio lo scandalo dei giorni scorsi ci ha fatto vedere quali danni possono venire fatti se si attribuisce troppo potere ad una struttura che non soggiace a nessun controllo e che può arrivare velocemente ad abusare del proprio potere: appalti assegnati agli amici degli amici, costi raddoppiati o enormemente gonfiati, intreccio di interessi pubblici e familiari, fragilità rispetto a infiltrazioni malavitose. In poche parole: la degenerazione più assoluta.
Secondo noi invece la protezione civile deve tornare ad occuparsi solo di emergenza. Gli interventi e gli aiuti in caso di emergenza devono essere garantiti da un servizio pubblico che non soggiace a interessi di parte. E le deroghe di cui può usufruire questo servizio pubblico nell´affrontare calamitá emergenziali devono essere verificabili/controllabili. Solo così si possono evitare derive vergognose come quelle di cui abbiamo dovuto sentire nei giorni scorsi.
*Capogruppo del PD in Commissione antimafia
pubblicato su http://www.articolo21.org
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mercoledì 17 febbraio 2010
PD e SeL sul patto civico " Ampio Coinvolgimento di Tutti"
Dichiarazione di
Giuseppe Germani – Capogruppo PD Comune di Orvieto
Evasio Gialletti – Capogruppo Socialisti, Sinistra e libertà Comune di Orvieto
"Con il consiglio comunale del 15 febbraio, si è conclusa definitivamente la campagna elettorale e finalmente si è tirata una linea di demarcazione fra la vecchia e la nuova consigliatura.
Quanti in queste ore gridano all’inciucio non hanno compreso a pieno le difficoltà della nostra città, che sono poi le stesse del paese, che risente della crisi globale.
La fase odierna della crisi è quella che si ripercuote direttamente sull’occupazione, quindi, la più sentita a livello della popolazione.
Turismo, Commercio, Agricoltura, Artigianato e Servizi,a tutti i livelli, hanno visto in questi mesi un drastico ridimensionamento delle attività e dei flussi economici anche ad Orvieto.
Secondo diverse stime, nel nostro territorio, sono a rischio 300/400 posti di lavoro, che sommati alle difficoltà occupazionali già esistenti, rendono molto bene l’idea dell’entità della crisi stessa.
Naturalmente, oggi come ieri, tali difficoltà non possono essere risolte dall’amministrazione Comunale, ma, sicuramente, la massima assise cittadina deve dare un messaggio responsabile di sostegno, coesione ed impegno comune.
Gli accordi raggiunti non annullano le differenze tra le forze politiche, nè cancellano le esperienze del passato, ma, permetteranno a tutti i cittadini di verificare concretamente quali siano le proposte messe in campo al fine di dare un contributo per uscire con dignità dalla crisi.
Con le deliberazioni dell’ultimo Consiglio Comunale, sono stati creati dei percorsi, per l’attuazione di quanto affermato dai gruppi Consiliari del centro sinistra.
Infatti, sin dal 9 dicembre 2009, con la presentazione del documento da parte del Partito Democratico, con il quale si invitavano le forze responsabilmente collaborative della città a compiere uno scatto in avanti, si chiedeva un impegno formale, al fine di ridurre gli effetti della crisi investendo sulle risorse presenti nel territoriovalorizzandone gli assetti .
A Dicembre come Centro Sinistra proponemmo un’idea diversa di sviluppo che mettesse al centro i beni primari.
CLIMA
Ponendo come priorità nuove politiche energetiche atte a sostituire le fonti fossili tradizionali con sole, vento e biogas
ACQUA
Salvaguardia e tutela del bene primario ed irrinunciabile riducendo gli sprechi e differenziandone l’uso
FORESTE
Presa di coscienza che il nostro territorio ospita la più imponente e consistente Foresta Regionale (Monte Peglia e Selva di Meana) che può diventare una risorsa strategica in tempi di certificati verdi
CULTURA CONTADINA E ARTIGIANALE
Sapere, saper fare e saper essere: sono e dovranno essere alla base del Made Italy.
L’Italia, l’Umbria ed Orvieto hanno una tradizione contadina che nell’ambito dei Saperi ha sviluppato grandi capacità artigianali, si deve ripartire da qui, valorizzando l’attuale per progettare il futuro su quello che storicamente sono i nostri saperi e le nostre competenze.
Solamente così, con un nuovo progetto di valorizzazione sarà possibile la realizzazione ed un utilizzo ottimale degli spazi presenti nella città ed ancora in attesa di destinazione come ad esempio la caserma Piave.
E’ in quella sede che lanciammo l’idea dei distretti per cooperare e per competere
DISTRETTO Artigianale e Agricolo
DISTRETTO Culturale
DISTRETTO delle Energie Alternative
DISTRETTO delle Foreste e del Paesaggio
Questi nuovi strumenti dovranno essere propedeutici alla realizzazione di un reale partenariato e una gestione paritaria tra pubblico e privato.
Occorre quindi, ai fronte di questa ed altre idee, mettere a leva le forze sane della nostra città, utilizzando al meglio ciò che il lavoro e la creatività degli orvietani hanno prodotto nel tempo e che rappresentano il capitale primario di Orvieto.
Oltre al Consiglio Comunale, sede istituzionale per decidere quanto d’interesse per Orvieto, si rende necessario il confronto con tutto il mondo dell’associazionismo, delle categorie imprenditoriali, dei sindacati, la Fondazione Opera del Duomo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto,la Fondazione Faina, gli Istituti di Credito , le associazioni ed istituzioni culturali, i portali, le radio , le tv e i giornali locali.
Alla luce di quanto sopra affermato, perché non realizzare anche ad Orvieto ( sulla scia di quanto realizzato recentemente a Perugia), un Consiglio Grande, ovvero un luogo nel quale le forze vive della città si possano confrontare e dove liberare le migliori idee ed energie.
Giuseppe Germani – Capogruppo PD Comune di Orvieto
Evasio Gialletti – Capogruppo Socialisti, Sinistra e libertà Comune di Orvieto
"Con il consiglio comunale del 15 febbraio, si è conclusa definitivamente la campagna elettorale e finalmente si è tirata una linea di demarcazione fra la vecchia e la nuova consigliatura.
Quanti in queste ore gridano all’inciucio non hanno compreso a pieno le difficoltà della nostra città, che sono poi le stesse del paese, che risente della crisi globale.
La fase odierna della crisi è quella che si ripercuote direttamente sull’occupazione, quindi, la più sentita a livello della popolazione.
Turismo, Commercio, Agricoltura, Artigianato e Servizi,a tutti i livelli, hanno visto in questi mesi un drastico ridimensionamento delle attività e dei flussi economici anche ad Orvieto.
Secondo diverse stime, nel nostro territorio, sono a rischio 300/400 posti di lavoro, che sommati alle difficoltà occupazionali già esistenti, rendono molto bene l’idea dell’entità della crisi stessa.
Naturalmente, oggi come ieri, tali difficoltà non possono essere risolte dall’amministrazione Comunale, ma, sicuramente, la massima assise cittadina deve dare un messaggio responsabile di sostegno, coesione ed impegno comune.
Gli accordi raggiunti non annullano le differenze tra le forze politiche, nè cancellano le esperienze del passato, ma, permetteranno a tutti i cittadini di verificare concretamente quali siano le proposte messe in campo al fine di dare un contributo per uscire con dignità dalla crisi.
Con le deliberazioni dell’ultimo Consiglio Comunale, sono stati creati dei percorsi, per l’attuazione di quanto affermato dai gruppi Consiliari del centro sinistra.
Infatti, sin dal 9 dicembre 2009, con la presentazione del documento da parte del Partito Democratico, con il quale si invitavano le forze responsabilmente collaborative della città a compiere uno scatto in avanti, si chiedeva un impegno formale, al fine di ridurre gli effetti della crisi investendo sulle risorse presenti nel territoriovalorizzandone gli assetti .
A Dicembre come Centro Sinistra proponemmo un’idea diversa di sviluppo che mettesse al centro i beni primari.
CLIMA
Ponendo come priorità nuove politiche energetiche atte a sostituire le fonti fossili tradizionali con sole, vento e biogas
ACQUA
Salvaguardia e tutela del bene primario ed irrinunciabile riducendo gli sprechi e differenziandone l’uso
FORESTE
Presa di coscienza che il nostro territorio ospita la più imponente e consistente Foresta Regionale (Monte Peglia e Selva di Meana) che può diventare una risorsa strategica in tempi di certificati verdi
CULTURA CONTADINA E ARTIGIANALE
Sapere, saper fare e saper essere: sono e dovranno essere alla base del Made Italy.
L’Italia, l’Umbria ed Orvieto hanno una tradizione contadina che nell’ambito dei Saperi ha sviluppato grandi capacità artigianali, si deve ripartire da qui, valorizzando l’attuale per progettare il futuro su quello che storicamente sono i nostri saperi e le nostre competenze.
Solamente così, con un nuovo progetto di valorizzazione sarà possibile la realizzazione ed un utilizzo ottimale degli spazi presenti nella città ed ancora in attesa di destinazione come ad esempio la caserma Piave.
E’ in quella sede che lanciammo l’idea dei distretti per cooperare e per competere
DISTRETTO Artigianale e Agricolo
DISTRETTO Culturale
DISTRETTO delle Energie Alternative
DISTRETTO delle Foreste e del Paesaggio
Questi nuovi strumenti dovranno essere propedeutici alla realizzazione di un reale partenariato e una gestione paritaria tra pubblico e privato.
Occorre quindi, ai fronte di questa ed altre idee, mettere a leva le forze sane della nostra città, utilizzando al meglio ciò che il lavoro e la creatività degli orvietani hanno prodotto nel tempo e che rappresentano il capitale primario di Orvieto.
Oltre al Consiglio Comunale, sede istituzionale per decidere quanto d’interesse per Orvieto, si rende necessario il confronto con tutto il mondo dell’associazionismo, delle categorie imprenditoriali, dei sindacati, la Fondazione Opera del Duomo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto,la Fondazione Faina, gli Istituti di Credito , le associazioni ed istituzioni culturali, i portali, le radio , le tv e i giornali locali.
Alla luce di quanto sopra affermato, perché non realizzare anche ad Orvieto ( sulla scia di quanto realizzato recentemente a Perugia), un Consiglio Grande, ovvero un luogo nel quale le forze vive della città si possano confrontare e dove liberare le migliori idee ed energie.
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domenica 14 febbraio 2010
Draghi: Fassina, "Inazione Governo aggrava problemi"
"Intervenire su potere acquisto famiglie per aiutare occupazione".
"Draghi ha messo in evidenza il circolo vizioso nel quale siamo presi: se non interveniamo sul potere d'acquisto delle famiglie, l'occupazione non riprende e, quindi, non si materializzano le aspettative di crescita, pur modeste, per il 2010. I vincoli di finanza pubblica non solo non giustificano l'inazione, ma proprio nell'inazione della politica economica rischiano di saltare".
Lo afferma Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Pd, commentando le parole di Mario Draghi.
"Continuare a ridimensionare i problemi del Paese, li aggrava. E' prioritario riformare gli ammortizzatori sociali per dare reddito e formazione effettiva ai circa 250.000 lavoratori e lavoratrici con meno di 40 anni che hanno perso lavori precari e non hanno alcuna indennità di disoccupazione".
"Inoltre, - conclude Fassina – vanno allentati i vincoli per gli investimenti degli enti locali. Sono misure una tantum, sostengono l'economia reale e migliorano gli equilibri strutturali della finanza pubblica".
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